L’inclusività è stata uno dei temi più dibattuti del 2021: per un gruppo crescente di persone il plurale maschile, dopo secoli, non va più considerato adatto a rappresentare tutti. In mancanza di una forma neutra qualcuno si è acconciato a elargire asterischi, mentre altri hanno rispolverato una vocale ignota alla nostra lingua e quasi impronunciabile, il cosiddetto schwa, in pratica una “e” rovesciata e speculare.
E dire che questa vocale, in origine, aveva un utilizzo diametralmente opposto a quello per cui la si ripropone oggi. «Lo schwa – scrive Elena Loewenthal sulla Stampa – è un grattacapo per chiunque si accosti allo studio della lingua ebraica. È comunemente definito una “semivocale”», soluzione escogitata in epoca tardoantica dai masoreti per «elaborare un sistema grafico di vocali per spazzare via una vasta serie di equivoci contenuti nel testo sacro», testo notoriamente tramandato riportando solo le consonanti.
L’ironia della sorte, secondo Loewenthal, consiste nel fatto che «lo schwa, che sulla pagina di un testo ebraico risulta come due puntini sottostanti la consonante, viene creato insieme a un complesso sistema vocalico fatto di lunghe, brevi e brevissime, proprio per definire l’indefinito, per spazzare via le ambivalenze di significato. Oggi viene invece chiamato in causa per una funzione perfettamente opposta: indefinire. Includere invece di escludere. Se avesse coscienza, lo schwa si sentirebbe destabilizzato, in preda a una profonda crisi di identità», spiega con un certo senso dell’humour l’autrice.