TOKIO – Dopo due settimane di timori si spengono nel dramma le speranze per la liberazione del giornalista cristiano giapponese Kenji Goto: un video di poco più di un minuto diffuso ieri dai jiadisti dell’Isis e indirizzato al governo del Giappone riprende l’omicidio dell’ostaggio.
Il filmato, di cui gli esperti americani stanno verificando in queste ore l’autenticità, riprende l’ormai tristemente noto stile dei precedenti messaggi video degli estremisti islamici, accompagnando all’uccisione di Goto una serie di farneticanti proclami antioccidentali.
Goto era comparso per la prima volta in un video dell’Isis lo scorso 19 gennaio insieme alla guardia privata Haruna Yukawa, ucciso nei giorni successivi in seguito al rifiuto del governo giapponese di pagare un cospicuo riscatto; dopo l’uccisione di Yukawa i banditi avevano modificato le loro richieste, chiedendo la liberazione della terrorista irachena Sajida Rishawi in cambio della vita di Goto e del pilota giordano Muath al Kaseasbeh, catturato il 24 dicembre.
Dopo alcuni giorni di trattative che sembrava potessero andare a buon fine, la drammatica svolta con l’uccisione del reporter.
Il fratello di Goto, Junichi, pur provato dal dolore ha ringraziato nonostante tutto il governo del Giappone e «le persone di tutto il mondo per il loro sostegno», mentre la madre Junko Ishido ha aggiunto di voler «continuare a credere nel desiderio di Kenji per un mondo senza guerra e nel suo lavoro per salvare i bambini dalla povertà e dalla guerra».
Kenji, 47 anni, si era convertito al cristianesimo nel 1997; sposato e con due figli di cui uno di pochi mesi, era entrato nei territori sotto il controllo del sedicente califfato islamico a ottobre in soccorso dell’amico Yukawa.
AGGIORNAMENTO (1/2): il quotidiano La Stampa in un articolo conferma la fede evangelica del giornalista ucciso dall’Isis. Secondo il quotidiano torinese Goto Jogo nel 1997 «era entrato a far parte della United Church of Christ of Japan, la maggiore confessione evangelica giapponese, che conta circa 200 mila fedeli: frequentava la comunità di Den-en-chōfu, un sobborgo di Tokyo» e «proprio la volontà di dare voce agli ultimi era la principale motivazione del suo lavoro anche in Siria».
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