Un’attrice dal passato controverso e protagonista di una recente conversione viene invitata a presentare la più importante rassegna di musica cristiana italiana di area evangelica, e scoppia la polemica: posizioni perplesse, mezze parole, ironie sottobanco per una decisione che non poteva non far discutere.
La scelta ha suscitato una triplice perplessità: per il personaggio, per il suo passato, per il suo presente.
In merito al personaggio, si sollevavano dubbi sull’opportunità di utilizzare la celebrità come traino improprio per dare rilievo a un evento, come il concerto del cantante di successo chiamato alla sagra paesana per darle una maggiore risonanza.
Per il suo passato, in molti si sono chiesti se fosse davvero opportuno far condurre la manifestazione da un’attrice il cui vissuto artistico resta inchiodato dalla memoria comune al suo peccato originale: meglio forse la normalità di un credente allineato con il comune sentire e la tranquilla esperienza di vita dell’evangelico medio.
In merito al suo presente, le perplessità si concentrano su una conversione maturata fuori dall’ambito evangelico e per questo vista con diffidenza e sospetto.
Tre obiezioni interessanti, perché sollevano il velo su un’ortodossia evangelica che ha più tradizioni e schemi di quanto spesso ci si renda conto.
Predichiamo che Gesù Cristo è morto per tutti, ma poi limitiamo inconsciamente la sua azione salvifica ai “normali”: quasi che la celebrità, la fama, la ricchezza, la cultura, per una strana legge del contrappasso ai nostri occhi siano colpe originali incancellabili.
Predichiamo il perdono dei peccati all’atto della conversione, ma poi non siamo del tutto disposti ad accettare che certi passati possano venir cancellati (e magari poi utilizzati in chiave positiva) dall’azione divina: vada per un tossicodipendente, per una prostituta, per un adultero, ma non per chi ancora oggi gode di notorietà nel mondo dello spettacolo. Come dire: avrà anche ottenuto il perdono divino, ma non ha sofferto abbastanza per meritarsi il nostro.
Predichiamo la conversione a Gesù Cristo come elemento di salvezza: però talvolta, inconsciamente, più che a far accettare l’Evangelo puntiamo a far accettare l’evangelico.
Da mesi, ormai, l’attrice in questione non perde una sola occasione per testimoniare la sua fede: negli interventi alle conferenze cita la Bibbia, da membro di giuria parla dell’Evangelo, nelle interviste dichiara la sua conversione, la sua fede in Dio, l’importanza del ravvedimento, l’invito a cercare una risposta dall’Unico che la può dare. Per citare solo una di queste dichiarazioni: «Ho incontrato Gesù due anni fa, e ha guarito le mie ferite. Era un momento molto doloroso, molto difficile della mia vita e nessuno poteva aiutarmi al di fuori di lui. E così è stato. Se gridi Dio ti ascolta e con il suo amore ti perdona, ti accoglie, ti corregge e ti fa diventare una persona nuova».
Certo, la scelta di affidare la conduzione a un personaggio protagonista di un passato burrascoso è sicuramente coraggiosa, ed è legittimo considerare la questione sotto tutti i punti di vista: quale efficacia possa avere questa (ingombrante) presenza sul piano comunicativo, quale impatto evangelistico possa avere sul pubblico del festival, quanto spazio potrà rubare alla musica e al suo messaggio, e via discorrendo.
Però, per favore, lasciamo da parte i giudizi spirituali tranchant e le pronunciazioni pastorali di seconda mano, elaborate cercando il pelo nell’uovo delle dichiarazioni.
Il dubbio è legittimo, ma la buonafede doverosa.
La Bibbia ci raccomanda di non considerare impure le cose che Dio ha purificato: e chi siamo noi per negare – contro l’evidenza – che Dio possa aver operato in una persona?