Quando l’evangelizzazione parla ai credenti

By 17 Luglio 2004Editoriali

Avevamo promesso che ci saremmo tornati su: nei giorni immediatamente successivi al “Festival della Gioia” abbiamo voluto vedere (e lodare) gli aspetti positivi di questa iniziativa, un’evangelizzazione di due giorni nel cuore di Milano, promossa da una quindicina di chiese milanesi, per la prima volta accomunate da un evento di questa portata.

Ora che la giusta euforia per l’evento è passata ci pare il momento opportuno per far notare alcuni aspetti meno brillanti, che i nostri lettori non hanno mancato di segnalarci.

In particolare ha colpito un aspetto: valida l’organizzazione, buona l’offerta musicale, interessante la scaletta delle due giornate con le varie attività proposte.

Ma cosa contraddistingueva l’evangelizzazione rispetto a un incontro di chiese?

I messaggi proposti dai vari pastori saliti a turno sul palco (a proposito: perché i pastori e non gli evangelisti, visto il contesto?), risentivano di un linguaggio e di concetti di sapore tipicamente evangelichese, che difficilmente un non credente avrà colto. Tanto che, quando uno degli oratori ha invitato a non fare come i “pagani”, un passante ha esclamato: “e chi sono questi pagani?”.

Anche la musica, pur valida, non era sempre particolarmente mirata sull’evangelizzazione, e l’appello dell’ultima serata è stato il summa di questo equivoco di piani comunicativi, con tanto di imposizioni delle mani per la guarigione e altre pratiche che a un visitatore casuale potevano richiamare altri riti per niente raccomandabili.

Insomma, se il Festival era per i non credenti, paradossalmente era strutturato per essere accettato e apprezzato principalmente dai credenti. Un controsenso non raro nell’ambiente evangelico, dove ormai da tempo non si riesce più a focalizzare sull’obiettivo e studiare una strategia confacente. E dire che l’apostolo Paolo, cui tutti ci rifacciamo, parlava con registri linguistici e concetti diversi a seconda di chi aveva di fronte.

Viviamo nell’epoca che più di ogni altra si basa sulla comunicazione: lo hanno capito bene “i figli di questo secolo”, che per i loro affari pongono una particolare attenzione su questo aspetto; e lo hanno capito anche le tante sette che proprio per la loro capacità comunicativa riescono a irretire coloro che cercano disperatamente una risposta alle loro domande.

Gli unici che non hanno capito, a quanto pare, siamo noi; forse dovremmo cominciare a cambiare registro, se vogliamo davvero raggiungere l’obiettivo. Se lo vogliamo veramente, però, e non solo a parole.

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