Buon anno nuovo

By 19 Settembre 2005Editoriali

Finite le vacanze, e assaggiati i primi scampoli d’autunno, si torna alla vita di tutti i giorni. Se l’estate rappresenta per i più (purtroppo anche per i cristiani) un momento in cui stemperare le proprie responsabilità, l’autunno è il momento dei programmi. È proprio al ritorno delle vacanze, quando la scia del riposo forzato porta maggiori stimoli a fare, che ci si appassiona nel progettare nuove attività, programmare impegni, stilare liste di desideri. Beninteso: buona parte di questi progetti resterà nel cassetto, confinata all’impeto di un momento e alla fugace fiamma di una passione passeggera, dato che sperare non costa nulla e comunque tira su il morale.

Spesso nel definire gli impegni rischiamo di falsare le prospettive e perdere di vista le priorità, fatto che per un cristiano è particolarmente preoccupante.
Giova quindi, in questa temperie di novità, segnalare qualche spunto da ricordare, e che potrebbe essere utile nella pianificazione della nuova agenda.

1. Non c’è solo il fisico. Sarà banale ricordarlo a un cristiano che ha Dio al centro della sua vita, ma buona parte degli impegni che tendiamo ad assumere riguardano proprio la cura di noi stessi. Vale la pena riproporre quel momento che oltreoceano chiamano “devotional”, e che è una pausa quotidiana di riflessione fatta di letture edificanti, meditazioni che permettano di approfondire le letture e con esse analizzare onestamente e intimamente la propria relazione a Dio e con chi ci circonda, e ovviamente di preghiera, intesa sempre come dialogo con Dio. Oltre a questo, non sarebbe male impegnarsi ad approfondire qualche particolare porzione della Bibbia, o di qualche argomento specifico, magari avvalendosi di letture adatte, siano esse commentari, appunti, studi o altro. Ormai la letteratura cristiana italiana (intesa nel senso più alto del termine) consente di spaziare in maniera ampia su materie e tematiche di interesse quotidiano senza il pericolo di annoiarsi. Sempre che, beninteso, il nostro concetto di “noia” non comprenda qualsiasi attività che superi il cicaleccio televisivo.

2. Non c’è solo il nostro spirito. Dio ha progettato la nostra vita come una vita sociale, e questo aspetto si riflette anche nel nostro essere cristiani. La nostra vita cristiana non può prescindere dalla chiesa, intesa però come la spiega la Bibbia: un gruppo familiare di persone che vivono un rapporto personale con Dio e si incontrano regolarmente per condividere la propria gioia, gratitudine e le vicende quotidiane, positive o negative che siano.
La comunione fraterna non è solo cantare insieme, salutarsi cordialmente dopo il culto ponendo le solite domande di cortesia. Avere comunione significa ascoltare, frequentare, conoscere. Spesso sappiamo davvero poco anche di chi, in chiesa, si siede regolarmente nella fila davanti alla nostra: potrebbe essere un buon proposito quello di coltivare questi rapporti. Altrimenti, più che “fratelli”, dovremmo avere il coraggio di chiamarci “parenti”.

3. Non si può solo ricevere. Non stiamo parlando di donare denaro, tema che curiosamente trova l’ambiente evangelico più imbarazzato del necessario. Parliamo di tempo e di impegno. Ogni cristiano ha ricevuto uno o più talenti da Dio; trascurarli significa non solo sprecare un potenziale, ma comporta una mancanza davanti a Dio e davanti a chi ha bisogno proprio di noi. Contribuire è anche questo: mettersi a disposizione e fare la propria parte. Anche pochi spiccioli (di energia e di tempo), purché donati con il cuore, saranno apprezzati.

4. Non c’è solo la chiesa. A volte un talento non riesce a esprimersi pienamente nel contesto della singola comunità di appartenenza, ma può portare beneficio attraverso missioni, opere, organizzazioni cristiane. Che aspettano il nostro impegno e le nostre competenze. A volte le missioni sono viste con diffidenza: in realtà le missioni tentano di sopperire a ciò che le chiese, per una questione pratica, organizzativa, per assenza di struttura o competenze non riescono a fare. Sono un’emanazione della chiesa in contesti che la chiesa stessa non può raggiungere. Vale la pena di scoprirle, individuare quelle più vicine al nostro sentire, valutarne serietà e impegno, e – in caso – dare una mano.

5. Non ci sono solo i fratelli. Il mandato che Dio ci dà non è di vivere in chiesa. È comunicare il suo messaggio nei luoghi e nelle situazione in cui ci troviamo (e non a caso). Per ogni lavoro però bisogna avere gli strumenti adeguati: prepararsi in maniera consona è compito nostro, e non possiamo delegarlo ad altri. La maturità e la saggezza si riconoscono anche dalla capacità di riconoscere le proprie potenzialità e nel saperle coltivare.

Cinque spunti e una raccomandazione finale: l’impegno deve essere spontaneo, per non rischiare di sfociare nel formalismo religioso. Non siamo obbligati in nulla, proprio grazie a quella libertà che Dio ci ha donato pagandola al posto nostro. Ma se diciamo di avere Dio al centro della nostra vita sarà il caso di dimostrarlo, e di dimostrarlo con tutto il cuore, la mente, l’anima, la forza, e anche con il talento e l’impegno. Perché non rischi di dimostrarsi solo un’illusione di fine estate.

Leave a Reply

Evangelici.net è un portale di informazione e approfondimento che opera dal 1996 per la valorizzazione del messaggio, dell’etica e di uno stile di vita cristiano

Sostieni il portale ➔