Il natale laico

By 23 Dicembre 2005Editoriali

C’è un nuovo natale che si fa strada, in questo inizio di millennio. Non è il natale spirituale dei Padri, dove la festività era un momento per ricordare il significato della nascita di Gesù; non è il natale religioso dei riti e miti, con molte forme e poca sostanza. Non è nemmeno il natale della famiglia, declinazione in chiave inclusiva della festa religiosa, nata per dare un momento di gioia anche a chi non si riconosceva per forza come cristiano. E non è nemmeno il natale commerciale, che dei significati originari ha fatto strame e delle forme tradizionali ha fatto business. No, niente di tutto questo: o forse meglio, è un’evoluzione di tutto questo. Un’ulteriore sviluppo della festa che da quasi due millenni continua a stupirci per la multiformità che l’ingegno umano le sa dare, tra il sacro e il profano.

L’universalità della ricorrenza, sancita dal riconoscimento come festività civile in buona parte del mondo, ha portato il problema di permettere a tutti di riconoscersi nel natale. Non solo a chi vive un cristianesimo a bassa intensità, cui bastava il concetto di “famiglia” per trovare un valore autorevole da festeggiare.

In una società multietnica, che spesso arricchisce la nostra quotidianità con una varietà sterminata di tradizioni e usi, le feste si moltiplicano: proprio quest’anno coincide con la apertura della Hannukkah, la festa ebraica delle luci. Un ulteriore motivo per rilevare che il natale di quest’anno si prospetta sempre più come un natale laico. Negli Stati uniti, dove il problema dei princìpi si pone in maniera più marcata, è stata polemica quando il presidente ha augurato “buone feste” anziché il consueto “buon natale”: ai “teocon” è sembrato una mancanza di rispetto per chi nel natale crede davvero. Così come l’idea di chiamare “albero delle feste” il consueto albero di natale. Tracciando così un altro segno dei tempi: fino a qualche anno fa nessun evangelico fondamentalista si sarebbe sognato di difendere quello che per generazioni è stato descritto come il simbolo principe del natale pagano.

Il natale laico è solo l’ultimo passaggio di una lunga serie, e non è detto che si tratti per forza di una piega del tutto negativa. In fondo, i primi cristiani non festeggiavano il natale, tanto da non aver tramandato la data. Il ricordo della natività nacque dopo, e presto divenne ostaggio di una festività civile, dazio da pagare al popolo pagano: un popolo che – proprio come i suoi bisnipoti laici e avanzatissimi del duemila – aveva poco interesse a capire se si festeggiasse il sole o Gesù, purché si facesse festa. Il natale religioso però non può essere considerato solo un modo per recuperare questa “fuga in avanti” imposta dalle autorità. Molte comunità cristiane, nei secoli, hanno saputo trovare una valenza spirituale nel festeggiare la venuta al mondo del Salvatore (che poi, non andrebbe dimenticato, al tempo era stata festeggiata anche dagli angeli e da fenomeni così rilevanti da aver portato a Betlehem astronomi da tutto il mondo conosciuto). Ma si sa, ogni evento spirituale ha vita breve, e se non si rinnova finisce per cristallizzarsi in usi, tradizioni, abitudini, regole: in una parola, in religione. Riti e miti presero il posto del ricordo autentico, sovrapponendosi generazione dopo generazione alla semplicità iniziale per creare il culto, più o meno pomposo. Tanto da farne dimenticare il senso più intimo: da ricordo della natività diventò festa della famiglia. Concetto sicuramente onesto e lodevole, ma ben diverso dalla profondità spirituale di chi, con tutto questo, voleva ricordare una nascita che ha cambiato la storia, non il contesto che ne ha resa possibile la realizzazione.

Il natale laico non è altro che la forma senza la sostanza, la schiuma senza il cappuccino. Euforia senza motivo, insomma. Un’euforia che i cristiani di oggi, dimostrano di saper sopportare senza troppi problemi. Per due generazioni non c’è stato natale senza i consueti studi biblici sulle origini della festa e dei simboli che si pretende lo rappresentino. Quest’anno, forse, avevamo già detto tutto. O forse era più delicato non condannare apertamente usanze che, tutto sommato, ci fanno comodo.

Paradigma di quest’anno, l’albero di natale: dopo qualche decennio passato a sbraitare contro i simboli di una festa ormai poco cristiana, pare che una serena acquiescenza abbia preso il posto delle crociate natalizie, e che i simboli del natale (pagano, oppure ormai semplicemente laico) abbiano trovato diritto di presenza anche nei nostri ambienti.

A forza di essere elastici, comprendere, contestualizzare, sospensione del giudizio, cominciamo forse a perdere di vista qualche concetto di base. Ma non è un discorso da farsi per forza a natale.

Come ci spiegano, l’albero è ovviamente solo un oggetto, serve solo per dare gioia.
E allora, se deve essere festa, festa sia. Davvero. Non risparmiamo decorazioni, luci, melodie, non lesiniamo pranzi, cene, regali, auguri, se tutto questo ci dà gioia e ne dà a chi ci circonda. Non ne risentirà certo la nostra fede: una festa “laica” in più, tra un capodanno, un 25 aprile, un primo maggio, e tra feste pagane come un 8 dicembre e un ferragosto, non dovrebbe indebolirci; certo, potrebbe risentirne la nostra testimonianza: ma quella – coerentemente – tentenna anche nel resto dell’anno, tra la frammentazione e la chiusura in cui ci pregiamo di vivere. Anche questo però non è un discorso natalizio, quindi sorvoliamo.

Buoni festeggiamenti, dunque. Una sola richiesta: per favore, almeno noi che sappiamo cosa la natività sia; noi che abbiamo creduto nella venuta di Dio che si fa uomo; noi che abbiamo compreso il piano di salvezza per il quale Gesù è venuto a questo mondo; noi che abbiamo accettato la sua vita, il suo messaggio, la sua morte e risurrezione; noi che sentiamo dentro il fuoco dello Spirito che ci ha rinnovato; noi che desideriamo vivere di Dio e con Dio ogni giorno della nostra vita, ma non per questo riteniamo di dover vivere in un eremo virtuale… festeggiamo, sì, e di cuore; ma almeno noi, dico, che abbiamo capito il significato della venuta di Gesù, evitiamo di continuare a chiamiare tutto questo “natale”. Tentiamo di avere questa sensibilità, per rispetto nei confronti dell’Unico che a questa festa non partecipa più da anni.

Certo: Gesù, in questa carnevalata di fine anno, è dentro di noi. Barricato, in attesa che finisca il baillamme e torniamo i cristiani fedeli di tutti i giorni.

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