Il rispetto che qui manca

By 18 Gennaio 2005Editoriali

“Non vedo come si possa essere presidente senza avere uno stretto rapporto con il Signore”: parola di George W. Bush, attuale presidente degli Stati uniti, a pochi giorni dalla cerimonia di insediamento che segna l’inizio del suo secondo mandato.
Quattro anni di presidenza caratterizzati da situazioni tragiche e scelte più o meno condivisibili, ma soprattutto da quel continuo riferimento, a ogni occasione utile, alla fede.
Un comportamento perfettamente compreso negli Stati uniti: un paese che, se non si può più definire evangelico, si deve almeno riconoscere tollerante nei confronti delle scelte personali più di paesi considerati universalmente culle della democrazia e che oggi, in nome dell’equazione “tutti in gabbia=tutti liberi”, vietano fermamente a chiunque l’espressione del proprio credo.

Una libertà di espressione, quella di Bush, che nel nostro paese ha infastidito non poco benpensanti, fini pensatori, portavoce del pensiero debole, alfieri del pensiero unico, radical chic, progressisti di ogni area, che si affannano in ogni occasione a dipingere il presidente Bush come un personaggio da operetta; eppure questa libertà rivendicata serenamente da Bush ha affascinato tanti italiani, incuriositi e affascinati dalla sua “scelta personale” di fede così pregnante, genuina, a volte ingenua nella sua spontaneità, e allo stesso tempo così lontana da vincoli, obblighi, riti, formalismi domenicali impartiti qui da noi dalla religione maggioritaria.

La sua conversione, il suo “filo diretto con Dio”, la preghiera comunitaria alla Casa Bianca, gli inni cantati insieme ai suoi ministri, la lettura dei salmi al mattino, i culti domenicali, i mille riferimenti cristiani nei suoi discorsi: legittimi sono i dubbi sollevati da qualche osservatore sul possibile uso interessato della fede a fini elettorali e politici; altrettanto doverosi però sono la buonafede e il rispetto.

Un rispetto che qui manca: manca sui giornali, ancora troppo propensi a definire gli evangelici – siano essi statunitensi, brasiliani, italiani – come una “setta” piuttosto che come una “confessione”, mentre – ironie della comunicazione – viene regolarmente considerato “reverendo” il controverso leader di una setta vera, salita alla ribalta qualche anno fa per la repentina quanto precaria adesione di uno stravagante vescovo africano.

Un rispetto che manca nelle traduzioni di interviste, libri e perfino nei film, dove la conoscenza della terminologia e del contesto evangelico vengono considerati un optional da parte dei traduttori incaricati.

Un rispetto che è mancato anche alla nostra tv di stato, dove qualche anno fa la baldante conduttrice, oggi europarlamentare, preposta a seguire in diretta la cerimonia di insediamento del Presidente degli Stati uniti, decise di ignorare – e far ignorare agli ascoltatori – la preghiera di benedizione elevata da Billy Graham: l’invocazione correva muta sullo schermo coperta sull’emittente italiana dalle chiacchiere di esperti.

Una serena convivenza non si gioca sui principi, ma su un’informazione competente e corretta che nasce da un semplice, banale, comune senso di rispetto. Quello stesso rispetto di cui la nostra società, laica e civile, millanta di essere depositaria.

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