Peccato non ricordarlo

By 16 Aprile 2005Editoriali

Nell’ambiente evangelico il nome di Guido Buffarini Guidi si ricorda sempre con una certa amarezza. Non tanto per il personaggio, che con la chiesa evangelica non ebbe praticamente nulla a che vedere: fascista della prima ora, non fu mai un personaggio di primo piano del regime, ma nonostante questo fu sempre un quadro di un certo rilievo.

Se lo ricordiamo è per un atto, una semplice circolare, che firmò nel periodo in cui fu sottosegretario all’Interno.
Correva il 1935, l’Italia fascista era nella fase di pieno consenso, e il regime guardava con diffidenza alle diversità, di qualunque genere fossero: politiche in primo luogo, ovviamente, ma anche confessionali. In questo contesto la vita per gli evangelici era dura: controllati dalle autorità fin dagli anni Venti, messi su un piano di inferiorità rispetto alla chiesa cattolica nel 1929 con la stipula dei Patti lateranensi, tenuti di fatto lontani dai ruoli di comando, irreggimentati negli anni Trenta con il controllo sui ministri riconosciuti e poi ostacolati da una serie di disposizioni restrittive.

A farne le spese furono in particolare i pentecostali. Vittime di soprusi fin dall’inizio del regime, nei primi anni Trenta si ritrovavano un solo ministro di culto riconosciuto dallo Stato e, nonostante l’accettazione da parte delle autorità centrali del culto pentecostale, a livello locale erano frequenti interventi repressivi, specie al sud, dove le comunità erano più numerose.

Nel 1934 la posizione del Governo nei confronti degli evangelici si inasprì: una scelta dovuta al tentativo sempre più marcato da parte del regime di controllare ogni momento della vita pubblica per procedere nella fascistizzazione della società. Tra gli evangelici, minoranza confessionale, i pentecostali erano visti con maggiore fastidio per l’assenza di strutture controllabili e per la spontaneità dei loro culti. Una situazione difficilmente accettabile per un regime totalitario, dove il controllo di corpi e menti è essenziale per la sua stessa sussistenza.

E qui entra in gioco Buffarini Guidi, che con una circolare controfirmata dal ministro dell’Interno Bocchini imponeva lo scioglimento delle comunità pentecostali presenti sul territorio, la chiusura delle sale di riunione e il divieto di celebrare culti. Era il 9 aprile 1935, anno tredicesimo dell’era fascista. La persecuzione guadagnava i crismi dell’ufficialità.

Le riunioni proseguirono clandestinamente nelle case, nelle stalle, in aperta campagna, e i credenti che hanno vissuto quel periodo raccontano di irruzioni in sale zeppe, delazioni alle forze dell’ordine, denunce, diffide, spedizioni al confino, agenti infiltrati alle riunioni per identificare i partecipanti.

Nonostante si trattasse di gente mite e sottomessa, il regime trovò nei pentecostali una resistenza inaspettata, se ancora nel 1936 il prefetto di Roma riferiva amareggiato che dei «provvedimenti adottati… i pentecostieri (sic!) non ne hanno risentito minimamente e… non hanno esitato ad insistere a riunirsi».

Tra minacce e arresti, le riunioni continuavano in clandestinità, in una situazione peggiorata nel 1939 da un’altra circolare: era la vigilia dell’entrata in guerra, quando il regime non poteva più permettersi voci discordanti e obiezioni di coscienza.

Cadde il fascismo (1943), terminò il secondo conflitto mondiale (1945), la repubblica sostituì la monarchia (1946), venne promulgata la Costituzione (1948), ma la Buffarini Guidi continuò a restare in vigore. Ancora nel 1953, a ben dieci anni dalla caduta del Fascismo e quasi cinque anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il ministro dell’Interno (democristiano) Mario Scelba affermava di fronte al Parlamento che «l’esercizio del cosiddetto culto pentecostale non è ammesso in Italia».

Caso forse unico nel suo genere, la circolare, nata da considerazioni politiche che nulla avevano a che vedere con lo spirito democratico della Repubblica, dimostrò una resistenza sorprendente sopravvivendo alle altre leggi discrimatorie sul piano razziale e confessionale. E non certo per leggerezza. Fino a metà degli anni Cinquanta restava quindi possibile, per un qualsiasi parroco di campagna poco propenso al confronto e alla tolleranza, inviare i carabinieri a una riunione pentecostale, interromperla, denunciarne i conduttori e disperderne i partecipanti.

Solo un mutato clima politico portò alla revoca della Buffarini Guidi: la persecuzione si chiudeva, ufficialmente, il 16 aprile 1955, esattamente cinquant’anni fa.

Ha ragione la chiesa Elim a parlare di “giubileo per i pentecostali italiani”. Spiace, invece, notare la svista generale da parte di chiese, assemblee, alleanze, associazioni, gruppi e giornali evangelici italiani. Salvo eccezioni più uniche che rare, non si è registrata nessuna iniziativa collegata all’evento, e nemmeno un vago cenno a quella che poteva essere un’ottima occasione per farsi conoscere e riconoscere.

Sarebbe stata anche una buona occasione per ribadire la propria storia e la propria presenza ormai radicata nel tessuto sociale italiano, rivendicando la propria fedeltà e tenacia nel seguire il Vangelo: poteva essere una presa di posizione importante tantopiù in un periodo come quello che stiamo vivendo, quando da più parti si tenta di accreditare le realtà evangeliche come dottrine stravaganti nate di recente sulla scorta di qualche santone americano, o – nel peggiore dei casi – le si addita come “sette”, sottintendendo con questo termine una pericolosità intrinseca.

Se non altro, quantomeno, poteva essere una buona opportunità per veder unirsi in preghiera – una volta tanto – il corpo di Cristo, ringraziando insieme Dio per la libertà riconquistata cinquant’anni fa.

Invece niente. Peccato, una molteplice occasione perduta. Forse eravamo troppo impegnati nelle nostre dotte disquisizioni su cose di poco conto per ricordarcene.

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