Ora che siamo di fronte al fatto compiuto, tutti ne parlano. Il sacrificio di un innocente fa sempre rumore, scalpore, polemica.
Morire di una morte evitabile, considerandola ineluttabile. Andarvi incontro consapevolmente, come unico modo per tirare fuori dai guai una persona che ci si era ripromessi di salvare “a ogni costo”.
È successo in una serata di fine inverno, che in medioriente è ormai quasi primavera.
È quasi paradossale, comprensibile solo in una logica più alta di quella umana, impegnarsi per salvare qualcuno che contesta il tuo mandato; qualcuno che non riconosce l’autorità di chi ti ha inviato, e si attiva contro di te e contro chi rappresenti muovendo obiezioni, sollevando dubbi, suscitando scetticismo.
Tentare di portare aiuto e scontrarsi con una diffidenza che uccide. Dubbi, amarezza, disincanto che passano con frequenza per la mente. Sentirsi probabilmente tentati di lasciare tutto per tornare a casa, abbandonando al suo destino chi sembra non volere venir salvato, chi pensa che contro l’inumanità di una sentenza senza appello basti confidare nella ragionevolezza, nel dialogo, nella bontà dell’uomo.
Lavorare, nonostante tutto, per quella persona e per tante altre: alcune consapevoli, altre diffidenti, altre ancora indifferenti o addirittura ostili. Sapere che si tratta di un lavoro ad altissimo rischio, e continuare malgrado questo a portare fino in fondo il proprio incarico, comprendendo che è l’unica possibilità per salvare la vita delle persone per le quali si è lì.
E poi quel momento, il momento di sacrificarsi, ben sapendo cosa significhi. Il pensiero di lasciare soli familiari, amici, persone care.
Timore, ma nessun indugio. Pagare con la vita per la vita di un altro: non c’è amore maggiore del dare la vita per un amico; non c’è nobiltà maggiore di considerare amico chi non ti ama.
Morire, paradossalmente, per mano di un manipolo di persone che, ragionevolmente, credevi dalla tua parte. Alleate, ma accecate da regole troppo rigide e pensieri troppo limitati per considerare quanta morte ci possa essere dietro alla lettura religiosa di una legge nata per salvaguardare la vita.
Di fronte all’esecuzione, dolore e solidarietà pressoché unanimi dureranno qualche giorno. Poi il ricordo si limiterà al profondo dolore degli amici e dei cari rimasti soli, a una lapide con il nome su qualche edificio, a qualche parola compunta nella sua formalità, pronunciata nell’anniversario del tragico evento. E a tanta indifferenza di fronte a un fatto che meriterebbe una profonda riflessione.
Succedeva questo, in una serata di quasi primavera, in una importante città del medioriente. Succedeva pochi giorni fa. Succedeva quasi duemila anni fa.