
Non sono passati nemmeno due anni da quando lo tsunami spazzava le coste del sudest asiatico, portando morte e distruzione. Una tragedia immane rimbalzata in tempo reale nelle nostre case attraverso i media che ci hanno raccontato la cronaca, spiegato i fatti, fatto conoscere i casi umani più drammatici: proprio grazie a questa campagna mediatica quasi senza precedenti allo tsunami asiatico seguì uno tsunami opposto e contrario fatto di solidarietà, doni, aiuti alle popolazioni colpite dal disastro: i media, con i loro racconti, hanno risvegliato emozioni e sfidato il senso di responsabilità dell’occidente ricco nei confronti del sudest asiatico povero.
Anche a livello cristiano ci sono state raccolte, sottoscrizioni, appelli: ogni missione, ogni organizzazione, ogni chiesa si è sentita in obbligo di raccogliere fondi per le popolazioni sofferenti. Con buoni riscontri: i media che ci hanno bombardato per giorni con le drammatiche, terribili immagini provenienti dal sud est asiatico hanno sollecitato l’istinto del buon samaritano che alberga in ogni cristiano, per quanto a volte sia ben sopito.
Pochi giorni fa, a Milano, è esploso un edificio, lasciando per strada un centinaio di persone. Il comune stanzia subito un fondo per aiutare i senzatetto, e apre una sottoscrizione per queste persone. Che sono persone normalissime, quelle che incontriamo ogni giorno per strada, al supermercato, in ufficio. Persone che hanno avuto un unico problema: abitare nel posto sbagliato.
I media non ci hanno bombardato con le loro storie, né hanno ripercorso per settimane con drammatiche immagini o storie strappalacrime la loro vicenda. La sottoscrizione del comune, dopo una settimana, è ferma a tremila euro.
E allora, anche se non si dovrebbe, non si può fare a meno di chiedersi come mai siamo stati pronti, prontissimi ad aiutare chi soffre lontano da noi, mentre chi ci sta vicino subisce la nostra indifferenza. Non è facile togliersi dalla mente il sospetto che anche per la carità, ormai, valgano le leggi della pubblicità: prevale la più efficace, la più brillante, la più furba. È normale che, se i media parlano di un caso, quel caso raggiunga una maggiore diffusione e abbia quindi un maggiore impatto. Ma, come cristiani, possiamo davvero delegare ad altri, di cui non conosciamo principi e scopi, la decisione sulle priorità della nostra misericordia? Possiamo sottostare al sottile ricatto dell’informazione gridata, considerando importante solo ciò che raggiunge gli onori della cronaca? È eticamente corretto per un cristiano correre dietro a chi fa più rumore, nascondendo le nostre priorità dietro allo strepito del caso umano più telegenico?
Nella società occidentale contemporanea il cittadino, dai diritti inalienabili e dai doveri sempre opinabili, tende ad appiattire, conformare, accodare la propria posizione a quella di una maggioranza che è sempre più spesso opera di opinion-maker. Il cristiano, cittadino a tutti gli effetti, ma con il valore aggiunto di una fede dai saldi principi, non può limitarsi a questo. La libertà di interpetazione e la guida dello Spirito non si possono far valere solo quando si tratta di accostarsi al testo sacro. Devono essere scelte di vita.