
E come ogni anno, anche per questo 2006 siamo giunti a un passo dalle feste. Il periodo ogni anno si allunga, e ormai si può dire che comincia a fine ottobre, con le prime luminarie nelle vie e le prime pubblicità a tema in televisione.
Inevitabilmente l’aumento di quantità stempera il contenuto: la sostanza, diluita su un periodo sempre più lungo, finisce sempre più annacquata da tradizioni, riti, liti, fino a smarrire il sapore originale.
Non a caso negli articoli pubblicati sui giornali nel corso di questi ultimi due mesi sono stati davvero pochi i riferimenti alla nascita di Gesù. Si è parlato molto – e noi stessi abbiamo riferito – di presepi che non si vendono più nei negozi, di presepi che non si fanno più a casa, di presepi violati da parlamentari poco onorevoli; si è parlato di Babbo Natale, di raduni dei Babbi Natale, di storie umane legate ai Babbi Natale; si è parlato dei paesi del nord Europa, di Finlandia, di Lapponia, di Napapijri e Rovaniemi; si è parlato di canti di natale, prima eliminati e poi recuperati nella scuola di Bolzano, di carrol che in certi luoghi degli Stati uniti non si possono nemmeno suonare (perché anche la musica, si sa, ha una sua valenza); si è parlato di sommosse popolari per gli alberi negati negli aeroporti. Si è parlato di film, come sempre: scollacciati come da tradizione, ma anche a tema, o comunque di buoni sentimenti. E poi si è parlato di regali: normali, strani, di tendenza, egocentrici ed egoistici; pagine e pagine per dare uno spunto a chi ancora non sa come adempiere al proprio obbligo di dono.
Si è parlato, si è parlato molto. E spesso in maniera polemica: chi rivendicava un diritto come maggioranza, chi rivendicava il diritto della minoranza a non venire assimilata nella festa maggioritaria, chi si inseriva proditoriamente proponendo di aggiungere anche la sua festa alle feste tradizionali.
In ogni città, poi, non si può non notare il comportamento delle persone, prese dalla nevrosi del regalo.
Peccato, davvero un peccato. Perché se c’è una caratteristica che il natale – chiamiamolo così, sperando che nessuno si offenda – dovrebbe avere, è proprio la serenità. Ma per avere la serenità è necessario ricordare il significato del natale, e l’impressione – stando almeno ai giornali – è che ben pochi lo ricordino, presi come sono dall’ultimo pacchetto e dalla decorazione più suggestiva.
Forse però non è solo un problema di memoria. Leggendo anche le statistiche degli ultimi mesi, viene il sospetto che in molti non conoscano affatto la storia del natale, tempestati e sommersi dalle mille tradizioni (spesso solo alibi consumistici) che si sono aggiunte man mano alla storia originale.
Una storia che è banalmente semplice, e immensamente spirituale, molto poetica ma davvero poco scenografica.
La storia è tutta qui: un giorno il Figlio di Dio si fece uomo, venne in terra per nascere, vivere, morire e risorgere, tracciando con il suo sacrificio l’unica via che ci può riportare a Dio, e insegnandoci con il suo esempio a seguirla.
Dio si fece uomo. Venne in un posto semplice, in mezzo a gente semplice, passando inosservato a tutti salvo che a quei pochi che si erano impegnati a cercarlo, investendo energie e tempo in questa missione. È nato così, rifiutato fin dall’inizio e ignorato da tutti: da tutti ma non dal cielo, che ha annunciato la sua venuta con un concerto degno di un re. Eppure i re non c’erano, avevano di meglio da fare: a ricevere l’annuncio c’erano pochi, semplici pastori.
Oggi, venti secoli dopo, viene da chiedersi se ad accoglierlo sarebbero molti di più, e se dietro festeggiamenti, concerti, cerimonie, funzioni religiose, feste, ci sia ancora il suo ricordo. Perché per ricordarlo non basta consultare la data sul calendario: bisogna conoscerlo. Per non rendere inutile la sua venuta bisogna dargli un posto stabile nella propria vita, e non solo una volta all’anno.
“Natale” è ricordare tutto questo: il miracolo della nascita di Gesù, il suo cammino terreno, la sua morte, la sua resurrezione.
“Natale” significa ricordarsene in particolare in questo periodo, se si ritiene di farlo, ma anche ogni altro giorno dell’anno: perché il dono di Dio, nella vita di chi lo ha accettato, è per sempre. Non solo un giorno all’anno.