L’intervista diversa

By 5 Dicembre 2006Editoriali

Il quotidiano “L’opinione” ha dedicato un’intervista a Francesco Maggio, evangelico ed evangelista (raro caso), impegnato da anni nel portare il messaggio di speranza del Vangelo ai musulmani.

L’intervista a Maggio, curiosamente, è diversa dai soliti interventi che siamo abituati a vedere; sarà la testata, che essendo di nicchia – e d’opinione – può permettersi interviste a più ampio respiro; sarà perché per una volta l’evangelico non è stato visto con la consueta aura di stupore, e quindi non si sono affrontati i soliti temi, con le solite domande – che talvolta ricordano un celebre film di Troisi e Benigni: “chi siete/dove andate/sì, ma quanti siete”.

Per una volta l’evangelico in questione era tale, potremmo dire, quasi solo in forma incidentale: evangelico, ma soprattutto esperto di evangelizzazione verso il mondo musulmano, e quindi anche di cultura islamica, ma non solo. Non solo, perché gli islamici in Italia si possono comprendere attraverso i precetti coranici esattamente quanto gli italiani si possono capire leggendo la Bibbia e la tradizione cattolica. L’italiano oggi ha una fisionomia delineata, una cultura che è frutto di contributi e sedimentazioni secolari, di guerre e di tregue, di domande e di risposte che, ovviamente, solo in parte hanno riscontro nella Bibbia. Se poi consideriamo l’italiano emigrato, la situazione si complica: vive una cultura diversa e a volte la filtra attraverso i propri parametri, altre volte vi aderisce convinto, in altri casi ancora sfrutta le opportunità e le libertà acquisite nella sua nuova patria. In certi casi si integra, in altri resta isolato: basti guardare gli esempi degli italiani emigrati negli Stati uniti, in Argentina, in Canada, in Australia, ma anche in Germania e in Belgio per vedere quanto diverse sono le tipologie.

Così anche il musulmano in Italia: nato in una famiglia più o meno “stretta” sul piano religioso, potrebbe essere un fondamentalista convinto come i nostri farisei (cattolici o evangelici, la forma è simile e la sostanza la stessa), potrebbe essere un integralista intollerante come i nostri razzisti, potrebbe essere un “non praticante” come la stragrande maggioranza dei cattolici italiani.
Una volta in Italia potrebbe integrarsi, potrebbe diventare più italiano degli italiani, potrebbe isolarsi, convinto di dover tutelare la sua cultura in una personalissima enclave.

Un’altra caratteristica interessante dell’intervista è la straordinaria – per un evangelico – non convenzionalità di Maggio. Pochi evangelici avrebbero avuto il coraggio di affermare «sia noi cristiani che i musulmani abbiamo in comune la volontà di essere consacrati, l’allontanarci dalla corruzione, il fuggire il peccato. In questo ci sentiamo simili e ci rispettiamo. Quando li incontro, so che non devo partire da zero. Paradossalmente abbiamo più problemi con i nostri connazionali».
Può permettersi di dirlo, come persona al di sopra di ogni sospetto sul piano ecumenico. E proprio per questo fa pensare. Molte volte non ci permettiamo di dire una parola che non sia “politicamente corretta” per non venir fraintesi. Forse vuol dire che le nostre convinzioni, il nostro comportamento, il nostro atteggiamento non sono così consolidati. Nessuno dubita di un pastore serio, quando in una predica parla dell’umanità di Cristo, perché si conosce la sua solidità dottrinale.
Conoscendo l’impegno di Francesco Maggio, non stupisce che, in una scala di valori, abbia potuto lodare alcuni aspetti della dottrina (e della pratica) islamica.

E il finale, in conclusione, rispecchia al meglio questa linea: alla domanda «E’ Lei che cerca i musulmani o sono i musulmani che vengono da Lei?», Maggio risponde: «Io cerco di andare incontro alle opportunità che Dio mi dà. Non sono un cane da tartufo. Semplicemente, quando mi capita un’occasione, non mi volto dall’altra parte».
Chiaro, semplice, diretto. Senza sbavature dottrinali, ma anche senza sbrodolamenti evangelichesi.

Ecco perché l’intervista si può definire un’anomalia. Speriamo di poterla definire anche un primo tassello verso un nuovo modo di comunicare: verso i musulmani, certo, ma anche verso i media. Senza paure, senza fame di distinzione a tutti i costi, senza cadere sempre in dialettiche dottrinali, senza rimarcare sempre posizioni specifiche. Senza dialettismi denominazionali e con il coraggio di parlare italiano, nella forma e nei concetti.

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