Fuori dalla chiesa

By 22 Gennaio 2007Editoriali

Il calciatore Francesco Favasuli, capitano del Teramo, ha trovato la fede. Non l’ha trovata in una chiesa, o attraverso un volantino, e nemmeno a un concerto evangelistico: in un momento di crisi, tre stagioni fa, gli venne suggerito di leggere la Bibbia. A suggerirglielo, e poi a seguirlo, furono due suoi colleghi: Renato Rafael Bondi e Marco Aurelio, due calciatori brasiliani. Due Atleti di Cristo.

E pensare che c’è chi non vede l’utilità di iniziative che si pongano fuori dal contesto della chiesa locale. Parliamo di organizzazioni come GBU, Gedeoni, Atleti di Cristo – per non parlare di testate, emittenti e portali cristiani -, che nonostante il loro costante impegno nel portare il messaggio di speranza del vangelo, talvolta vengono viste con fastidio. «C’è già la chiesa», si sente dire, a giustificare la tesi della scarsa utilità di strutture ulteriori.

E invece. Invece la chiesa non arriva ovunque, anzi. Ci sono settori specifici della società dove la chiesa non riesce, per sue caratteristiche specifiche, a entrare: come le università, come le scuole. Come gli stadi.
In contesti specifici, solo chi è del settore può capire. Capire i problemi, il modo di vivere, i patemi, e suggerire efficacemente soluzioni non banali a problemi. Problemi veri, ma che fuori dall’ambiente nemmeno si riescono a cogliere come tali. Vale per lo studente, il professionista, l’atleta, il personaggio dello spettacolo.
Non comprenderlo è insensibilità verso il bisogno di chi soffre e sta cercando una soluzione.

Siamo diversi, veniamo da percorsi diversi. Non sempre la strada è la stessa. La salvezza, quella sì: il riconoscimento del fallimento, l’accettazione del dono di Gesù, la nuova vita. Ma poi le variazioni sul tema sono tante, perché il mondo cristiano è ricco. Ed è giusto riconoscerlo.
A volte crediamo, speriamo, ci illudiamo di essere uguali; uno stampino ci rassicurerebbe, per capire meglio il nostro percorso e quello degli altri. E invece la vita, la conversione, l’esperienza cristiana – prima e dopo – è diversa da persona a persona. La nostra esperienza potrà essere simile (ma non uguale) a quella di altre dieci, cento, mille persone, ma diversa da quella di altrettante.

L’importante è riconoscerlo, e vedere questa diversità per quel che è: una ricchezza, una gloria a chi ha avuto la capacità di crearci così meravigliosamente dissimili, una benedizione. Non un limite.

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