Esperienze pericolose

By 4 Febbraio 2008Editoriali

A Torino torna a far parlare il movimento esoterico: la città, tradizionalmente una delle più attive in Italia nell’occulto, ha visto in questi ultimi mesi un ritorno di messe nere, riti satanici, furti sacrileghi in pieno centro.

Le associazioni che si occupano del fenomeno esprimono preoccupazione, come fa Sara Gaelotti del Gris (Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa) in una intervista alla Stampa: «siamo di fronte a un’autentica crisi dei valori di riferimento, soprattutto dei giovani», che sono più fragili e vengono attratti con maggiore facilità da queste realtà pericolose sotto tutti gli aspetti: «i teorici del male offrono ai loro adepti facili soluzioni, scorciatoie illusorie verso una presunta felicità», senza regole da rispettare o coerenze cui tenere fede, senza «impegno, né sforzi di volontà».
E conclude che «il fascino cui soccombono è frutto della loro debolezza interiore, di una confusione morale».

Spesso nemmeno ce ne rendiamo conto: cosa sarà mai – ci diciamo – se i giovani sono ribelli, se non rispettano l’autorità, se hanno un’allergia per le regole. In fondo ci convinciamo che è sempre stato così, è l’età delle sperimentazioni, in cui si cerca una propria identità e un equilibrio. Il problema di fondo, come segnala il Gris, è che le generazioni precedenti avevano dei valori di riferimento; esistevano la famiglia, le autorità, la società che coprivano il loro ruolo in maniera egregia. Dopo le zingarate e le contestazioni i giovani sapevano dove tornare, avevano una piattaforma di cui lamentarsi ma su cui appoggiare i piedi. Oggi questi punti di riferimento stanno cedendo uno dopo l’altro, sconvolti dal relativismo e da una filosofia che ci fa credere sempre giovani, in un’assenza di responsabilità personale, un’eterna gioventù che non ha intenzione di prendere atto dei propri impegni e di arrivare, a un certo punto della vita, a fare da punto di riferimento per chi si aspetta questo ruolo da noi.

Se i padri, oggi, sentono il bisogno di mollare la famiglia e i figli piccoli per mesi non per andare a lavorare all’estero (e quindi a beneficio della famiglia stessa, in un sacrificio consapevole e condiviso di chi parte e di chi resta) ma per “realizzarsi” con una presenza al Grande Fratello, non possiamo stupirci se i giovani poi sono disorientati. Mancano i veri padri, manca quella famiglia cui tornare per trovare serenità, quella famiglia anche da contestare, perché no, ma capace di mettere di fronte al giusto e allo sbagliato, al bene o al male, da cui ricevere il rimbrotto o lo scappellotto al momento giusto.

Se l’unica risposta alle domande dei figli è un “vedi tu” accompagnato da un sospiro, un’alzata di spalle di fronte alle stramberie e ai pericoli perché “il ragazzo deve esprimere la sua personalità e fare le sue esperienze”, allora non possiamo stupirci che i nostri giovani siano tentati da situazioni pericolose.

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