
Siamo arrivati all’immancabile 14 febbraio, che per buona parte del mondo occidentale non è solo una data: è sinonimo di festa degli innamorati.
San Valentino, direte voi. Sì e no, a dire il vero. “No”, perché San Valentino non cade il 14 febbraio da 40 anni, da quando cioè la riforma del martirologio romano lo sfrattò a favore di Cirillo e Metodio. “Sì”, perché su quasi tutti i calendari compare comunque in quella data, e d’altronde non potrebbe che essere così: i calendari, alla fin fine, ce li regalano i supermercati, e si capisce che non potrebbero mai trascurare una festa così succulenta sul piano commerciale.
San Valentino, in realtà, con l’amore c’entra poco: era un azzimato vescovo di Interamna, l’odierna Terni, vissuto nel 200 (ossia 1800 anni fa) in Umbria. Aveva fama di taumaturgo, ossia guaritore, di evangelizzatore e perfino – narrano le cronache, probabilmente con una certa dose di imprecisione – di mago, ma nulla pare avesse a che fare con l’amore. Se San Valentino oggi è il simbolo dell’innamoramento è in relazione a una vicenda per la quale Valentino da Terni avrebbe svolto i suoi buoni uffici: il contrastato amore di due giovani romani dell’epoca, Sabino e Serapia, le cui famiglie erano contrarie al rapporto. Una sorta di Romeo e Giulietta ante litteram, anche se il racconto ormai si può definitivamente archiviare come leggenda: una leggenda per giunta appiccicata addosso al santo solo molto dopo la sua morte, nel medioevo.
In realtà Valentino ha vissuto quasi cent’anni ed è morto di morte violenta, e non per colpa delle famiglie in lite: giunto a Roma per guarire non si sa bene chi, convertì al cristianesimo tre discepoli del filosofo Cratone; incarcerato e torturato, non abiurò e per questo venne condannato a morte per decapitazione. La sentenza venne eseguita il 14 febbraio 273, sotto l’imperatore Aureliano. Vi risparmiamo le vicende successive, perché comunque con il vescovo – e con il 14 febbraio – hanno poco da fare; merita segnalare però che di Valentino pare ce ne siano stati vari, e questo alimenta il sospetto che la storia del santo sia tutta una leggenda, almeno in relazione all’amore.
Se quindi San Valentino con l’amore c’entra poco, perché è diventato il santo degli innamorati? Questa, forse, è la parte più interessante della storia, e ha a che fare con la data più che con il personaggio. Non è stato Valentino a “consacrare” il 14 febbraio come festa dell’amore, ed è vero piuttosto il contrario: Valentino è stato assurto a santo degli innamorati in funzione della data in cui viene commemorato.
Come si sa, infatti, il calendario ricorda i martiri (che siano veri o presunti, cristiani o solo cattolici è un altro discorso) nel giorno della loro dipartita, e a Valentino da Terni capitò di venir giustiziato il 14 febbraio. Il 14 febbraio, nell’antica Roma, erano in corso i Lupercali, festa con cui i romani rendevano omaggio a Februa: guardacaso si trattava della dea pagana della fertilità, protettrice di unioni e maternità. Un papa dei primi tempi, Gelasio, trasformò la festa in appuntamento religioso, un po’ come era capitato anche al natale, e a questo dobbiamo, con ogni probabilità, la conservazione di un 14 febbraio dedicato al rapporto di coppia e alla vita che rinasce.
Non solo. Nell’Europa contadina il 14 febbraio segna il ritorno degli uccelli al nido, il ciclo della vita che ricomincia, la fertilità ritrovata di terra, animali e uomini. Sempre il 14 febbraio era, per i pescatori dei mari del nord, il giorno fissato per il rientro nei porti, e quindi per il ricongiungimento con la famiglia.
Insomma: il 14 febbraio come festa dell’amore è precedente al povero Valentino, ed è in realtà un’ennesima festa pagana cristianizzata, o quantomeno una festa agreste travasata nel contesto laico e cittadino che caratterizza l’Europa attuale. D’altronde non c’è da stupirsi molto: le campagne hanno caratterizzato a lungo la società occidentale, scandendo i tempi e le stagioni con momenti e feste dedicate a specifiche situazioni legate alla vita agricola. L’uomo, nella sua eterna ricerca di contatto con quel Dio sconosciuto che non riusciva a trovare, ha voluto divinizzare quel che vedeva, creando le religioni pagane a sua immagine e somiglianza, e dando un tono religioso e superstizioso a questi momenti particolari: il culmine dell’inverno, l’arrivo della primavera, il centro dell’estate, e così via.
Poi, la secolarizzazione della nuova religione ha apportato un adattamento in chiave cristiana delle precedenti feste pagane. La commercializzazione ha coperto a sua volta, negli ultimi decenni, le tradizioni cattoliche, dando loro un significato prettamente consumistico.
E allora: si tratta di una festa agreste, pagana, cristiana, o commerciale? È lo stesso problema che ci ritroviamo ad affrontare ogni 25 dicembre. Le posizioni, come da tradizione, sono discordanti: si può, non si può; si deve, non si deve.
Nello specifico, cristianamente parlando, ricordarsi di chi si ama non è sbagliato, mai: “Mariti, amate le vostre mogli” non è una frase dei Baci Perugina, ma una precisa indicazione dell’apostolo Paolo. Una relazione sana e un legame intenso, che non si limitano alla formalità e agli obblighi di legge, sono un ottimo viatico per vivere con la dovuta serenità il proprio percorso interiore. O semplifica la vita, quantomeno: “Una donna polemica è esasperante”, riconosceva già il re Salomone, probabilmente riandando con la memoria a una delle sue mogli che non gli dava pace.
È sbagliato o no, quindi, ricordarsi il 14 febbraio della persona che si ama? Semmai è sbagliato ricordarsi di chi si ama solamente il 14 febbraio. Non è carino. E non è nemmeno biblico.