Assenze ingiustificate

By 20 Ottobre 2009Editoriali

«Introdurre nelle scuole italiane, pubbliche e private, un’ora di religione islamica, facoltativa e alternativa a quella cattolica»: venerdì scorso in Veneto il sottosegretario Adolfo Urso ha spiazzato tutti con una proposta sorprendente che, c’era da aspettarselo, è diventata il tormentone del fine settimana.

La proposta nasce con un obiettivo ragionevole: «evitare di lasciare i piccoli musulmani “nei ghetti delle madrasse e delle scuole islamiche integraliste”», arrivando a un insegnamento moderato, impartito nelle scuole pubbliche da insegnanti “riconosciuti”.

L’idea, per la sua radicalità, non ha registrato molti consensi, consentendo al mondo politico di arroccarsi sul metodo ignorando il merito: un merito che, invece, varrebbe la pena di approfondire, in modo da «governare il processo anziché subirlo domani».

Al di là di questo, la proposta del sottosegretario è la classica bomba che, insieme allo choc e alla polemica, smuove le acque e, talvolta, fa emergere situazioni di cui i più ignoravano l’esistenza.

A segnare il punto è il senatore Lucio Malan, di fede valdese: «nessuno sembra sapere – ha segnalato con la sobrietà che lo contraddistingue – che è tutt’ora in vigore una legge dello Stato che consente quanto proposto dal sottosegretario al commercio estero, e con vincoli anche inferiori».

Si tratta di un regio decreto – per la precisione il Regio Decreto 28 febbraio 1930 n. 289, “Norme per l’attuazione della L. 24 giugno 1929, n. 1159″ – emesso un anno dopo i Patti Lateranensi, che contiene le norme di attuazione sui culti ammessi nello Stato.

L’articolo 23, secondo comma, recita: «Quando il numero degli scolari lo giustifichi e quando per fondati motivi non possa esservi adibito il tempio, i padri di famiglia professanti un culto diverso dalla religione dello Stato possono ottenere che sia messo a loro disposizione qualche locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli: la domanda è diretta al provveditore agli studi il quale, udito il consiglio scolastico, può provvedere direttamente in senso favorevole. In caso diverso e sempre quando creda, ne riferisce al Ministero dell’educazione nazionale, che decide di concerto con quello della giustizia e degli affari di culto. Nel provvedimento di concessione dei locali si devono determinare i giorni e le ore nei quali l’insegnamento deve essere impartito e le opportune cautele».

«Si tratta – continua Malan – di una legge che le chiese evangeliche d’Italia e altre confessioni religiose chiedono da decenni di abolire, in quanto si fonda sulle premesse che il Cattolicesimo è religione di Stato e le altre fedi hanno l’imbarazzante definizione di “culti ammessi”».

Una legge ancora valida e, visti gli sviluppi, pericolosa per la possibilità che qualche realtà religiosa dal credo troppo fondamentalista, in sintonia con qualche dirigente scolastico dalle vedute troppo aperte, trovi spazio nelle scuole con dei corsi che nessuna autorità, allo stato dei fatti, potrebbe controllare.

Allo stesso tempo si tratta di una legge che, se ci riesce di superare il fastidio per l’etichetta di “culti ammessi”, offre uno strumento non indifferente a chi punta sulla laicità.

«Quando io frequentavo le elementari – ricorda ancora il senatore – la Chiesa Valdese si avvaleva di questa facoltà. Negli anni ’70 la Chiesa Valdese rinunciò in nome della laicità della scuola pubblica».

Una scelta laicista che, però, non ha avuto grandi esiti: al passo indietro delle realtà evangeliche non ha, prevedibilmente, fatto seguito una rinuncia sul fronte cattolico e di conseguenza l’assenza unilaterale dei valdesi, per quanto motivata da buoni propositi, ha lasciato campo libero, quasi un monopolio, all’ora di religione cattolica, con la perdita insieme alla presenza, di posizioni e autorevolezza.

Le cose, nonostante le richieste di laicità che si susseguono un anno (scolastico) dopo l’altro, non sembrano destinate a sviluppi positivi.

E allora, visti i risultati, c’è da chiedersi se non sia ragionevole un cambio di strategia.
Se è vero che l’assente ha sempre torto, chissà quale risultato potrebbe portare una presenza massiccia e partecipata alla vita scolastica, dove la realtà evangelica, avvalendosi delle leggi esistenti, possa esprimersi in maniera forte e chiara su vicende contingenti o più generali.

Una scuola più laica si può ottenere per sottrazione, come si è tentato di fare senza successo per decenni attraverso posizioni intransigenti e amicizie pericolose.

Ma una scuola più laica si può ottenere anche per addizione: il pluralismo non si esprime solo nella neutralità, ma anche – e, forse, soprattutto – nella possibilità per tutti i gruppi di significativa entità di avere un loro spazio.

Chissà se una presenza in loco con un’ora di religione reclamata dalla realtà evangelica non potrebbe essere uno strumento più efficace di tanti anni di silenzio.

I numeri non dovrebbero essere un problema: se è vero, come sosteneva Montanelli, che gli italiani sono “protestanti mancati”, non mancherebbe l’interesse per un’ora di approfondimento sulle basi della spiritualità evangelica. E chissà che, se fatto bene, non possa essere perfino uno strumento più efficace di tante iniziative di piazza per diffondere al meglio il messaggio di speranza contenuto nel vangelo e magari per sfatare, attraverso la conoscenza, qualche luogo comune e qualche prevenzione nei confronti degli evangelici.

Certo, per arrivare a questo risultato bisognerebbe riesumare un concetto molto teorizzato ma poco praticato nell’ambiente: la comunione tra chiese, declinata nel verso della fratellanza e dell’unità di intenti.

Un’abitudine che abbiamo perso e che, forse, è il maggiore ostacolo a ogni iniziativa, locale e nazionale. Chissà che la scuola non aiuti a colmare questa lacuna.

biblicamente – uno sguardo cristiano sull’attualità

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