
Siamo convinti che l’islam sia una cosa seria. Davvero: l’islam è una religione plurisecolare con le sue regole, le sue interpretazioni, le sue sette, le sue correnti, e (purtroppo) i suoi estremismi. Questo non significa, naturalmente, condividerne il messaggio: significa semplicemente rispettare chi ci vive vicino e ha una cultura, una religione, una sensibilità diversa dalla nostra.
Per questo ci siamo stupiti. Abbiamo visto ridicolizzare l’islam da parte di un suo autorevole esponente. Gheddafi, a Roma, ha voluto spiegare i dettami di Maometto a un gruppo di persone: persone selezionate per sesso, misure e aspetto fisico. Dovevano essere di bell’aspetto, alte almeno un metro e 75 centimetri, portare la taglia 42. Sul piano metodologico non c’è niente di strano, conoscendo le bizzarrie di un personaggio cui è concesso per convenzione di fare il bello e il cattivo tempo.
Però in questo caso qualcosa non quadra. Islamizzare un gruppo scelto in base alla forma fisica è non solo discriminante (per le escluse) e umiliante (per le prescelte): è qualcosa che va contro gli stessi principi dell’Islam.
L’Islam contemporaneo si fa pregio di proporre costumi più puri, seri, meno corrotti rispetto al cristianesimo occidentale: la donna deve stare al suo posto, nascosta, svelarsi solo a suo marito e a nessun altro. Per l’islam la forma fisica, quindi, non ha importanza, o almeno non va esibita: e questa posizione, come sappiamo, viene talvolta portata ai limiti della fobia.
Se così è, allora l’iniziativa di Gheddafi è anti-islamica a tutti gli effetti.
Facciamo quindi nostro l’appello di Pierluigi Battista sul Corriere, ma ci permettiamo di allargarlo. Ci chiediamo come mai di fronte alla sceneggiata di Gheddafi, che ha ridicolizzato di fatto la fede islamica e i suoi valori, nessun imam, nessun mullah, nessun autorevole esponente dell’islamismo in Italia o nel mondo, si sia sentito in dovere di fare un distinguo, di piantare qualche paletto, di arginare il solipsismo di una fede evidentemente intesa in maniera poco ortodossa.
Non pretendevamo una fatwa, una scomunica: sarebbe bastato un distinguo. In fondo per molto meno gli illustri esponenti si sono accalorati nei talk show, hanno lanciato crocifissi fuori dalle finestre, hanno gridato allo scandalo per qualche vignetta.
Un gesto di coerenza sarebbe stato gradito.