Quelle Porte Aperte sul dramma

By 10 Giugno 2010Editoriali

Una volta all’anno, il convegno di Porte Aperte fa bene.

Fa bene, perché è organizzato bene: abbastanza denso da dare informazioni precise sulla condizione dei cristiani perseguitati, ma sufficientemente leggero da permettere l’interazione tra i presenti (quest’anno a Rimini erano oltre trecento: meno dello scorso anno, ma comunque un numero ragguardevole in tempi di crisi) e la riflessione sul nostro ruolo di cristiani occidentali, privilegiati da una condizione di libertà e da diritti impensabili fuori dal nostro continente.

Fa bene perché apre la mente e il cuore sui bisogni di chi non sta accanto a noi fisicamente – anche se qualche migliaio di chilometri, in un mondo globalizzato, non è poi una grande distanza – ma deve essere nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere.

Fa bene, perché ci permette di sfatare luoghi comuni. Pochi probabilmente sanno quale sia la drammatica condizione dei cristiani in Iraq: nel Paese dove l’Occidente ha vinto la guerra e sta perdendo la pace, i cristiani subiscono un nuovo, crudele martirologio per opera di gruppi di islamici esaltati, mentre la polizia si dichiara impotente ad arginare questo afflato di odio insensato.

Stiamo parlando di minacce quotidiane, ma anche di espropri forzati, con l’obbligo di abbandonare la propria casa nel giro di 24 ore. Ma parliamo anche di intimidazioni dalla violenza inaudita, che toccano la carne e la vita: chiodi piantati in testa ad anziani innocui, bambini mutilati con ferocia e uccisi in spregio alla fede dei loro genitori.

Probabilmente starete inorridendo: per noi occidentali certe scene sono sopportabili solo a corredo delle autopsie di CSI o nelle indagini di Criminal Minds. Eppure succede davvero, oggi. Succede ai nostri fratelli, che si ritrovano costretti a vivere la loro fede nel chiuso della loro casa, e talvolta nemmeno questo basta a salvarli: la persecuzione li costringe alla fuga da un momento all’altro verso un futuro ignoto.

Una realtà dura da vivere, e perfino da sentire. Eppure per un cristiano maturo sarebbe un errore ignorarla, limitando la propria prospettiva di fede a una vita di idilliaci incontri domenicali, magnifici raduni nazionali, edificanti campi biblici estivi. O, peggio ancora, a una quotidianità fatta di lavoro, famiglia, vita sociale e un po’ di religiosità a condire il tutto, giusto per pulirsi la coscienza in attesa di mettere in atto i buoni propositi in un futuro indefinito.

Dopo aver vissuto storie simili insieme a testimoni diretti, tornare alla quotidianità è quasi un sollievo: scoprire che la propria casa è ancora al suo posto, che sotto la soglia non c’è nessuna lettera minatoria che invita noi, “sporchi cristiani”, ad abbandonarla già il giorno successivo “in nome di Allah”. Che i nostri familiari sono sereni, oltre che vivi.

Anche per questo l’impegno di Porte Aperte a favore di questi martiri del XXI secolo è da apprezzare, sostenere e, soprattutto, da condividere. Lasciare soli i cristiani iracheni, ma anche i credenti iraniani, somali, eritrei, sauditi, maldiviani, nordcoreani denoterebbe infatti da parte nostra un atteggiamento insensibile quasi quanto la sopraffazione di cui sono quotidianamente vittime.

biblicamente – uno sguardo cristiano sull’attualità

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