Il fondamentalista

By 23 Luglio 2011Editoriali

C’è un riflesso inquietante nel modo in cui, in queste ore, giornali e telegiornali presentano l’uomo che, in Norvegia, ha ucciso con una ferocia inaudita ottanta ragazzi.

Inizialmente la firma della duplice azione terroristica era sembrata – per un riflesso condizionato che, ormai, l’occidente non riesce a superare – frutto di integralisti islamici: presto ci si è resi invece conto che a provocare la strage era stato un uomo alto, biondo e dai tipici caratteri somatici scandinavi. Insomma: uno di noi.

Come ormai uso comune, i giornalisti hanno compulsato il suo nome sui social network, e in tempo record hanno stilato un profilo della sua personalità: ama la musica classica e i videogame violenti; è iscritto a una loggia massonica; cita Stuart Mill in tono minaccioso contro chi non ha una fede forte dietro le proprie azioni; detesta l’islam e i musulmani. Eppure nei titoli, e nel modo di presentarlo, spicca tra tutte una caratteristica che, di norma, si considererebbe secondaria: l’attentatore si definisce “cristiano”. Così, con un accostamento tra i timori fugati e un dramma ancora vivido, è diventato per tutti un “fondamentalista cristiano”.

Proprio così: non un fanatico dei videogiochi di guerra. Non un massone dagli obiettivi deviati. Non un filosofo d’accatto condizionato da letture (per lui) inappropriate. No: un (sedicente) cristiano. Che, si legge tra le righe dei giornali, visto quel che ha combinato, non può che essere il corrispondente nostrano del fondamentalismo islamico. Quindi un fondamentalista cristiano.

Peccato. Nell’ansia del momento, nel dramma della vicenda, nel baratro della disperazione che attanaglia la Norvegia, nella fregola dell’urgenza e del titolo a effetto cui i giornali non possono sfuggire si è deciso di dare all’assassino il volto che meno gli appartiene. Avvalorando l’idea che una strage, di questi tempi, debba avere per forza una matrice religiosa.

Quel che suona ancora più odioso è il sillogismo secondo il quale, in fondo, il cristianesimo sconta da sempre un peccato originale non emendabile: sotto sotto, sembra di leggere nelle cronache – e qualche benpensante ha avuto perfino il coraggio di dirlo -, il cristiano è a rischio, come qualunque devoto di altre religioni.

Anzi, di più: se in Nigeria si registra una strage di cristiani, da noi si insinua che in fondo devono aver cominciato loro. Se vengono privati della libertà religiosa, da noi si dà per scontato che debbano averne abusato. Se viene negato loro un riconoscimento ufficiale, da noi si punta il dito contro il proselitismo che irriterebbe le autorità.

Così, quando qualcuno si definisce – tra le altre cose, ricordiamolo – cristiano e poi compie una strage, la causa deve essere quel rovello interiore chiamato Gesù. E quindi se più di ottanta ragazzi sono morti non è stato a causa di un gesto compiuto con lucida follia da una persona ubriaca di giochi violenti, idee politiche malsane e idee razziste, non è colpa di questa diabolica miscela. No: ancora una volta la colpa è della fede cristiana, sentina di tutti i mali, inevitabile detonatore di un ragionamento malato.

E, dato che cristiani siamo (apparentemente) tutti, la colpa è di una prospettiva fondamentalista, quel modo di vedere la fede irriso da comici e commentatori come un costume religioso naif e provinciale, letteralista e ottuso, di cui Bush è stato uno dei massimi esponenti.

Basterebbe un po’ di umiltà e una rapida ricerca in rete per scoprire che il fondamentalismo è qualcosa di molto diverso da come lo si dipinge, e che – semmai – un’azione violenta basata sull’estremismo religioso si colloca nell’alveo dell’integralismo. Ma si sa, di fronte a una notizia non si può andare tanto per il sottile: il folle ha detto di essere cristiano, e di matrice cristiana deve essere stato anche il movente del suo gesto.

La fede – vera o presunta – con quella inscrutabile componente di spiritualità e interiorità che porta con sé, è il capro espiatorio ideale per qualsiasi misfatto che non si può, o non si vuole, spiegare in maniera più ragionevole. La fede – questo il messaggio che, ancora una volta, rischia di passare attraverso i media – rovina l’essere umano; il resto è relativo.

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