La festa dell’onestà

By 23 Dicembre 2011Editoriali

Il caso di Simone Farina, calciatore che rifiutò di vendere una partita – e la propria dignità – al racket degli incontri truccati, continua a far discutere per uno sviluppo imprevisto ma edificante che, visto il periodo, potremmo forse definire “natalizio”.

Il ct della nazionale italiana, Cesare Prandelli, che da sempre predica l’importanza di un codice etico sui campi di calcio, ha convocato Farina per la prossima partita della Nazionale, come riconoscimento per il suo comportamento esemplare. Al di là del tasso tecnico, si tratta sicuramente di un bel gesto per un buon esempio: e a chi ironizza sulla vicenda, ricordiamo che se anche i banchieri di Wall Street (e i politici di Roma) avessero dato una risposta diversa alla domanda «meglio un manager onesto, o uno che ci fa guadagnare miliardi?», forse oggi vivremmo tutti meglio.

La storia, come accennavamo, assume un sapore ancor più dickensiano per la sua prossimità alle festività di fine anno. Come rileva Marco Ansaldo sulla Stampa, «la storia di Natale è servita. Calda, dignitosa, commovente».

Come in tutte le storie raccontate dal grande narratore inglese dell’Ottocento, però, anche questa «suscita una riflessione amara. Ci siamo talmente rassegnati al marciume e all’intrallazzo – riflette Ansaldo -, che ci sembra un eroe chi esegue il proprio dovere».

Vero, purtroppo: in un’epoca degradata anche la normalità si tinge di eroismo. In un mondo ideale non avremmo bisogno di eroi. Nel mondo reale, però, ben vengano. Nella speranza che dalla banalità del bene scaturisca – prima possibile, per favore – un’inversione di tendenza generalizzata, capace di restituire i comportamenti ordinari alla loro quotidianità, e di chiamare nuovamente “bene” e “male” con il loro nome.

Come cristiani, Bibbia alla mano, dovrebbe essere una nostra priorità. Anzi, dovremmo essere noi stessi a segnare il percorso, suggerire, indirizzare, formare, sensibilizzare la società verso quel “bene” che abbiamo sperimentato nella nostra anima e nella nostra vita. Non solo a natale, ma anche a natale.

Perché il natale passa, certo, ma ha il pregio – specie in tempi di crisi – di rendere le persone più attente alle questioni di fede, all’importanza di vivere una spiritualità che non sia (solo) tradizione ma l’esperienza di una relazione viva e costante con Dio. Con quel Dio che è venuto al mondo, ha camminato tra noi, ha insegnato, ha sofferto, è morto. Ed è risorto, donandoci la vita e offrendo un senso alla vita.

Non è successo il 25 dicembre, ma è successo. Ogni occasione per ricordarlo, ribadirlo, predicarlo a una società affamata di speranza dovrebbe essere benvenuta.

Riflessi etici – prospettive cristiane sull’attualità

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