Le Iene e le pecore

By 17 Novembre 2011Editoriali

Fastidio e rassegnazione sono i due sentimenti prevalenti che in queste ore girano in rete, a margine del servizio trasmesso mercoledì dalle Iene su Italia 1 e dedicato alla triste vicenda di un giovane che, in seguito all’adesione a una chiesa evangelica (brasiliana, precisa il servizio), ha abbandonato il lavoro e non paga più gli alimenti alla moglie separata e al figlio, dedicando buona parte delle sue risorse economiche e del suo tempo alla comunità.

Un servizio, quello di Giulio Golia, che non mette in ottima luce il contesto evangelico, anche se va ammesso che non è il peggiore andato in onda negli ultimi anni, in un contesto mediatico che tende a ignorare la realtà evangelica e a descriverla di conseguenza con sospetto o, addirittura, partendo dai pregiudizi che si riservano alle sette.

Naturalmente, nel valutare l’intervento delle Iene, va compreso anche il contesto, ricordando che il programma in questione si occupa di scandali di ogni genere (dalla spazzatura alle truffe, per restare alla puntata in questione): partendo da questa opportuna premessa non si può non ammettere che la vicenda è stata trattata con un certo tatto. Le informazioni inviate in redazione dagli amici dell’uomo sono state verificate sul campo, ed è stato lasciato ampio spazio sia al protagonista, sia al responsabile della chiesa per dare la loro interpretazione dei fatti; inoltre, non meno importante, la comunità in questione e i protagonisti non sono stati resi riconoscibili, e in varie situazioni Golia ha precisato che si trattava di una “chiesa evangelica brasiliana”, evitando almeno in parte una pericolosa generalizzazione.

Certo, nonostante questo il servizio ha provocato proteste in rete da parte di decine di credenti che hanno ritenuto offensivo il tono usato dalle Iene, la scarsa conoscenza del contesto evangelico. E qualcuno, addirittura, per il semplice fatto di aver visto raccontare una simile vicenda davanti a milioni di telespettatori.

Già, la vicenda. Curiosamente, nel dibattito di queste ore, è passata in secondo piano. E invece, come ha fatto il servizio, nei nostri ragionamenti dovremmo partire da lì: perché da lì tutto ha avuto origine. Da lì, direbbe l’apostolo, è nato lo scandalo che ha screditato il buon nome dei credenti davanti al mondo.

Prima di lamentarci con chi denuncia un problema, dovremmo tentare di risolverlo. È doveroso, certo, chiedere ai media un’informazione obiettiva e le opportune distinzioni: per esempio il fatto che nell’alveo dell’evangelismo esistono realtà molto diverse tra loro, e che le comunità evangeliche moderate sono forse più numerose di quelle descritte dal servizio.

Nel farlo, però, dovremmo esercitare la giusta sobrietà, ricordando che nel nostro Paese sono presenti varie comunità – potremmo dire intere correnti – dove la testimonianza cristiana viene relegata in secondo piano, e si preferisce invece concentrarsi sull’esercizio di una spiritualità contemplativa che rasenta talvolta il fatalismo, facendo strame dei numerosi inviti all’azione e all’impegno contenuti nei vangeli.

Dovremmo prendere atto che proprio questo, prima di altro, muove a discapito (e discredito) del movimento evangelico. E dovremmo tentare di porre rimedio, ripartendo proprio dalla testimonianza.

Non possiamo pretendere di considerarci “luce del mondo” se non rispettiamo le leggi, se non viviamo secondo sani principi morali, se non adottiamo un codice etico adeguato alla nostra chiamata di cristiani. E, tanto più in tempi come quelli che stiamo vivendo, ogni chiesa dovrebbe sforzarsi di comunicare questo messaggio.

Non vogliamo dubitare della buonafede di nessuno. Ma non possiamo non chiederci con una certa preoccupazione come mai il messaggio recepito da quel credente lo abbia portato a smettere di lavorare e a non pagare più gli alimenti. Posta la buonafede e la semplicità di cuore, dovremmo seriamente chiederci se un certo tipo di impostazione dottrinale che enfatizza la spiritualità a discapito della buona testimonianza non porti – involontariamente, beninteso – a certi estremi.

Ecco, prima di prendercela con la televisione, ripartiamo da qui.
Solo quando avremo la certezza che le chiese stanno insegnando un vangelo spirituale ma anche concreto, pratico, solidale, potremo in buona coscienza – come la Bibbia stessa insegna – far presente l’eventuale malafede di servizi televisivi prevenuti contro quelli che, allora sì, potremo davvero considerare “singoli casi”.

D’altronde il nostro obiettivo, come figli di Dio, non può essere quello di nascondere la polvere sotto il tappeto per dare un’immagine idilliaca e vincente, gridando al complotto quando un po’ di quella polvere fuoriesce.

Se lo facessimo, saremmo solo religiosi: e sappiamo che per i religiosi Gesù non aveva particolare stima.

Riflessi etici – prospettive cristiane sull’attualità

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