Celentano a metà

By 15 Febbraio 2012Editoriali

Missione compiuta: Celentano, come sempre, ha fatto discutere, rianimando – lui, “rock” – un festival mai “lento” come quest’anno.

Nel suo intervento-fiume dal palco dell’Ariston ha spaziato a 360 gradi, parlando di politica, attualità, costume. E di fede. E se non avesse confuso fede e politica, cristianesimo e sincretismo, insulti e profetismi, parole e musica, l’intervento di Celentano a Sanremo non sarebbe stato nemmeno male.

Come insegna la Bibbia, quando le parole abbondano l’errore è inevitabile. E un predicatore, quale Celentano si considera, non può ignorare questa responsabilità, proprio come non la possono ignorare i predicatori di cui ha parlato nel suo intervento.

E allora lo potremmo incensare, come fanno molti in queste ore, per aver parlato a lungo di fede a Sanremo – in un’edizione che non brilla in questo senso – ma sarebbe altresì poco onesto dimenticare la non modica dose di incoerenza presente nel suo sermone.

Come ricorda Brambilla sulla Stampa, «ha criticato il clero perché ha smesso di parlarci della cosa più importante di cui dovrebbe parlarci: Dio, il soprannaturale, la vita eterna. Ha attaccato Avvenire e Famiglia Cristiana perché parlano troppo di politica e di problemi sociali e poco di Dio, ma… subito dopo ha santificato un prete, don Gallo, che parla solo di politica e problemi sociali».

Ha parlato di Gesù, aggiungiamo noi, spiegando con una bella metafora che è venuto per “metterci in guardia contro la polvere che oscura l’anima”, ma ha lasciato il discorso a metà. Anzi. Ha parlato di Paradiso e dell’importanza di annunciare la speranza della salvezza, preconizzando gioia eterna – qualcuno avrà anche apprezzato la delicata metafora della danza – ma poi ha affermato che in Cielo ci entreremo tutti, per quanto “ci sarà qualcuno che, prima di entrare in Paradiso, avrà bisogno di una spolveratina”, inficiando così il discorso e scadendo in un buonismo spirituale di maniera.

Sui giornali oggi si definisce il suo sermone con una gamma di aggettivi che va da “confuso” a “delirante”; noi preferiamo considerare quello di Celentano un intervento interessante, ma incompiuto.

Intendiamoci: annunciare la fede è necessario – “guai a me se non lo faccio!”, esclamava l’apostolo Paolo – ma le parole hanno un senso quando si mantengono entro certi limiti. E il sincretismo questi limiti non li ha, perché ricorda sì il sacrificio di Gesù ma non la necessità di un ravvedimento, invoca la proclamazione del paradiso ma dice che ci andremo tutti indistintamente.

Allo stesso tempo, però, la reazione entusiastica di molti di fronte a Celentano che “evangelizza a Sanremo”, è sintomatica: dà il segno della fame che caratterizza oggi i cristiani. In un contesto mediatico dove si parla di tutto l’effimero possibile relegando gli argomenti più profondi a orari impossibili e canali tematici, ogni fiotto di spiritualità viene accolto con la gioia che l’assetato prova di fronte a una inattesa pozza d’acqua.

E alla sete, si sa, non si comanda. Ben venga quindi, nel deserto dei palinsesti, ogni rivolo di fede che scorre sulle emittenti generaliste: purché, da parte nostra, vi sia sempre la consapevolezza che non tutti i corsi d’acqua sono potabili.

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