
«Siamo la cultura del superlativo, dell’esternazione e dell’iperbole enfatica che provoca emozione… È l’insofferenza al comparativo. È il trionfo della dimensione emotiva, come l’iperbole, l’apostrofe, l’esclamazione, l’appello, la parolaccia greve e l’insulto grave. Viviamo in un mondo emozionale, siamo portatori di intonazioni e prosodia più che di senso… Tramontano invece le figure della riservatezza, dell’attenuazione, del sottinteso, dell’allusione. Anche le richieste di privacy sono urlate». Così Paolo Fabbri, intervistato sul Corriere.