La percezione acritica dei valori

By 26 Agosto 2021Cultura, Focus

I principi biblici sono immutabili, ma lo è anche il modo di interpretarli? A ragionare sulla questione è Kristin Kobes Du Mez, storica americana, che in un articolo concentra l’attenzione sul modo in cui gli evangelici americani vivono i temi chiave della loro fede. Spesso consideriamo immutabile ciò in cui crediamo, avverte l’autrice, ma «la storia rivela che accanto a elementi che hanno una continuità nel tempo, ci sono anche molti cambiamenti rilevanti e dimostra come molte delle cose che passano per essere tradizionali abbiano, in realtà, un’origine piuttosto recente».

Il problema, secondo Kobes Du Mez, è che gli evangelici americani tendono a ignorare la storia e, anzi, «all’interno dei circoli accademici, alcuni storici evangelici hanno prodotto delle narrazioni che tendono a minimizzare i lati oscuri della loro tradizione religiosa»; del resto «un resoconto più complesso della storia dell’evangelicismo è straordinariamente destabilizzante per chi si sia sempre confrontato soltanto con un ritratto edulcorato del proprio passato».

A volerla vedere in maniera oggettiva si tratterebbe di “un’autopercezione acritica e sprovvista di complessità“, che i canali comunicativi dell’ambiente contribuiscono a rafforzare con «una narrazione che dipinge gli evangelici come i bravi ragazzi che lavorano coraggiosamente per conto di Dio in questo mondo»; se poi talvolta si riscontrano difformità, queste vengono viste come isolati “deragliamenti dal vero evangelicismo”, constata la studiosa.

L’approccio, di per sé poco salutare, è difficile da superare a causa di una dottrina percepita come autoimmune: «le critiche che provengono dall’esterno sono ignorate o vengono derubricate ad attacchi aggressivi, e questo contribuisce a rafforzare il complesso di persecuzione degli evangelici», spiega.

Il circolo vizioso che si crea in questo modo nasce, in realtà, dalla buona fede: il timore di molti evangelici, infatti, è che abbattendo la narrazione tradizionale diventi difficile raggiungere le persone con il messaggio biblico. Kobes Du Mez non ignora il problema, ma allo stesso tempo non crede che il fine giustifichi i mezzi: «la storia – chiosa – non è una campagna di marketing attraverso cui convertire le persone. E, cosa ancor più importante, proprio la mia ricerca sulla storia dell’evangelicismo mi aveva mostrato chiaramente quali fossero i rischi derivanti dal coprire le verità sgradevoli per proteggere il “marchio” (o, per usare le parole degli stessi evangelici, “il ruolo di testimonianza della chiesa”)».

Coprire per proteggere, insomma, non è la testimonianza che la società si aspetta dai credenti. E, viene da pensare, non è nemmeno la strategia che Dio stesso si aspetta dai cristiani.

foto: linkiesta.it (Il reverendo Billy Graham si rivolge a circa 40mila persone al Polo Grounds di New York nel 1957. ©️ Allyn Baum/The New York Times)

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