D’Avenia: «Il mio rapporto con Gesù»

By 25 Ottobre 2022Cultura, Dall'Italia

Il Corriere della Sera ha chiesto a una serie di personaggi di comporre un ritratto d’autore del proprio mito. E lo scrittore e insegnante Alessandro D’Avenia ha puntato in alto, scegliendo di descrivere Gesù. «Io ne ho solo uno: Cristo», spiega, precisando che «l’unico modo che ho per farne il ritratto è provare a raccontare il rapporto con lui».

«Cristo non mi ha protetto dalla vita, mi ci ha spinto dentro o contro», sostiene lo scrittore; «per un certo tempo anche io ho vissuto il rapporto con Dio secondo il meccanismo al cuore del sacro in ogni tempo: il sacrificio, cioè io rinuncio a qualcosa per Dio, così lo controllo e mi protegge. Cristo invece dice: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9), ponendo fine al rapporto commerciale e sacrificale con Dio (se fai il bravo e ti sacrifichi per lui, Dio ti ama) e inaugurandone uno gratuito (Dio già ti ama, non vuole niente se non che tu lo sappia e lo sperimenti)».

Con Gesù, dunque, cambia il paradigma: «Cristo è stato ucciso perché metteva in crisi il sistema sacrificale e di potere degli uomini», prosegue D’Avenia, che chiama poi in causa il paradosso di Dostoevskij – «Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità» – per ammettere che «seguendo Cristo, ho scoperto che quella che ritenevo verità era solo una mia ideologia utile a sentirmi sicuro o migliore, gonfiava il mio ego e copriva la mia mancanza di amore».

Il cambio di prospettiva ha avuto per D’Avenia anche effetti pratici: «non amo il binomio credente/praticante che riduce la fede da relazione a prestazione», argomenta. «È come chiedere a un innamorato: credi alla tua amata? E la frequenti? O ami o non ami, non è un hobby ma la vita intera: più sei innamorato più diventi attivo, creativo, attento. E si vede, non devi dirlo».

Cristiano quindi «non significa buono, serioso, angelico, perfetto, ma imperfetto, sveglio, inquieto, innamorato, creativo, combattivo, di buon umore, nei limiti dei propri limiti che diventano bellezza». D’Avenia rivendica il desiderio di «vivere sempre di e con “passione“, libero dall’illusione che la felicità consista nel proteggersi dal male e dal dolore, quando è invece vivere tutto»: per questo, rivela, «sto a poco a poco imparando a sostituire la domanda “perché mi accade questo?” con “che ci faccio con questo che mi accade?», perché al momento della morte vorrei poter dire: “nulla è andato sprecato“».

«Non so com’è che tutto ciò avvenga», aggiunge, «succede grazie alla relazione quotidiana con lui, che più che una presenza è una mancanza: la mia preghiera preferita è “mi manchi”». Certo, aggiunge, «per Freud, Marx o Nietzsche forse sono un illuso, ma io Cristo me lo tengo stretto, come Dostoevskij. Non mi serve a farmi piacere la vita, ma a fare della vita un piacere».

foto: corriere.it

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