Riflettori accesi sulla Bibbia amiatina, cui una testata di settore dedica un ampio servizio. Si tratta, ricorda il sito, del manoscritto più antico e completo della Vulgata, la traduzione della Bibbia in latino opera di Gerolamo di Stridone; datato tra il VI e il VII secolo, il volume – noto anche come Codex amiatinus – venne prodotto nei monasteri dell’Inghilterra nordorientale con lo scopo di donarlo a papa Gregorio II, ma ebbe un percorso travagliato che lo portò sul monte Amiata e, poi, a Firenze, dove trovò casa – e dove ancora è possibile ammirarlo – presso la Biblioteca medicea laurenziana.
La Bibbia amiatina, spiega il servizio, conta 1029 fogli in pergamena (per fornire il materiale pare siano state utilizzate le pelli di cinquecento pecore), pesa oltre 50 chili e la sua realizzazione richiese l’impiego di otto copisti. Le dimensioni massicce del volume hanno limitato il suo utilizzo nel corso dei secoli, e questo gli ha permesso di arrivare a noi “in ottime condizioni di conservazione“.
In merito ai contenuti, «il principale motivo per cui la Bibbia amiatina è un codice estremamente interessante sta nel fatto che si tratta del testimone più antico e completo della più diffusa Bibbia in latino, la cosiddetta Vulgata, ovvero la traduzione nella lingua di Roma realizzata alla fine del IV secolo da san Girolamo… I copisti che attesero alla realizzazione della Bibbia amiatina eseguirono un lavoro attento e rigoroso: lo si comprende dal fatto che per la stesura del codice i monaci di Wearmouth-Jarrow presero come riferimenti diversi modelli, tra quelli più aggiornati e quelli più antiquati, in modo da poter redigere un testo non soltanto di pregio, ma anche moderno, funzionale alla lettura, capace di tener conto delle tante tradizioni che erano in circolazione al momento».
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