
Il 28 agosto di sessant’anni fa 250 mila persone calarono su Washington per partecipare alla “marcia per il lavoro e la libertà”: un avvenimento che ha fatto la storia e dato un colpo definitivo alle discriminazioni razziali. La manifestazione viene ricordata in particolare per una frase, “I have a dream”, l’incipit del più noto intervento del pastore evangelico Martin Luther King.
In realtà, spiega Gianni Riotta su Repubblica rievocando l’avvenimento, non fu un vero incipit, e sul momento non venne percepita dai presenti la portata storica del discorso.
Anzi, per dirla tutta, King non aveva nemmeno in programma di parlare di quel futuro dove «i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza». Il discorso del predicatore si stava sviluppando senza scosse davanti a un pubblico stremato dal caldo e dai quindici oratori che lo avevano preceduto, quando Mahalia Jackson, la celebre voce gospel, interruppe King: “Martin, dicci del sogno”. Il pastore a quel punto «si tirò su dritto, lasciò cadere le pagine e, da oratore politico, si incarnò in predicatore battista: fu un miracolo», ricordò in seguito un collaboratore, Clarence Jones.
L’intervento non venne riportato dai giornali né ebbe riscontri nel Civil rights act approvato dal Congresso l’anno successivo. Ironia della sorte, il discorso venne riscoperto, valorizzato e rilanciato solo dopo l’assassinio di King, nel 1968. Nessuno, quel giorno d’agosto del 1963, avrebbe immaginato che, sessant’anni dopo, due americani su tre avrebbero considerato “decisive” quelle parole. Né che «la chiusa biblica “Liberi alla fine, grazie Dio Onnipotente!”, dall’antico spiritual, sarebbe stata incisa sulla sua tomba».
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