Ravasi e la scomparsa dell’ateismo

By 22 Gennaio 2023Cultura, Dall'Italia, Focus

Non esistono più gli atei di una volta: una constatazione che ad alcuni provoca sollievo, ad altri rammarico. A quest’ultima categoria si iscrive il cardinale Gianfranco Ravasi, fino a qualche settimana fa presidente del Pontificio consiglio della cultura.

Ravasi non è nuovo al confronto con chi propone idee diverse, e nella sua prospettiva la scomparsa del non credente duro e puro è un problema, come ha ricordato in una recente intervista: «Interessarsi dell’anima o di Dio è una forma di provocazione per il nostro tempo, nel quale non c’è una negazione radicale, strutturale, cosciente e coerente di Dio. Pensiamo a cos’è stata la negazione di Dio nell’ateismo classico, in quello marxista o in Nietzsche. Tutte forme molto nobili, elaborate, che interpellano la teologia e la sfidano. Per secoli è stato questo il modo d’interloquire tra spiritualità e negazione. Oggi, invece, domina l’apatia, che trascolora in quello che definisco apateismo, la cifra costitutiva del presente», spiega. In sintesi, «siamo in un mondo che ha smarrito l’anima e non se ne duole, né tanto meno si preoccupa di riconquistarla. Casomai, è il corpo a dettare legge», lamenta Ravasi.

In un contesto così fosco, sul fronte cristiano ci sono due tendenze, o “tentazioni”: «la prima è quella del ritiro, della serie “il mondo è sotto il vessillo del Maligno. Noi siamo i puri, ignoriamo gli altri. Ci riuniamo ancora per le nostre celebrazioni, ma definiamo il nostro perimetro confinandolo in una sorta di oasi sacrale”. Certi movimenti fondamentalisti, anche cattolici, vanno in questa direzione. La seconda tentazione che domina è il contrario, ed è figlia dell’indifferenza e della superficialità: il sincretismo. Ossia, un po’ di religione non fa mai male, va bene sempre, è come la mentuccia d’orto da mettere su tutto. È la religiosità vaga e vacua che mischia messaggio e massaggio, yoga e yogurt».

Invece, secondo Ravasi, «bisogna, da un lato, essere pronti a riprendere il dialogo, entrando in questo mondo come minoranza, senza farci illusioni… In questo senso, è esemplare l’esperienza del cristianesimo delle origini: partito come una sorta di scintilla, si è diffuso in tutto il mondo, grazie anche ad annunciatori ardimentosi e impavidi come San Paolo. Dall’altro, bisogna tornare ai grandi valori e alle radici. Pensare di “conquistare” questo mondo abbassando il livello non è la strada giusta». Lo dimostrano, chiosa il cardinale, «le chiese protestanti [storiche, ndr], che hanno concesso molto, soprattutto nel campo della sessualità, perdendo alla fine autorevolezza e anche molti fedeli».

La soluzione, piuttosto, sta nel trovare «la forza e la fiducia nella forza del Vangelo, che significa “buona notizia”», per ribadire «i grandi valori… in maniera decisa e pura con un linguaggio adatto e in sintonia con il nostro tempo, che non sia soltanto esoterico e oracolare». La chiave per farlo, prosegue, è «l’essenzialità. Cristo nel Vangelo è capace di trovare le parole che mordono e di farle visualizzare a chi lo ascolta. Noi oggi siamo nella civiltà dell’immagine e Gesù già utilizzava le parabole che sono racconti visivi. Oggi una parabola letta in chiesa attira molto più l’attenzione dei fedeli rispetto, ad esempio, al linguaggio sofisticato di Paolo».

foto: illibraio.it

Evangelici.net è un portale di informazione e approfondimento che opera dal 1996 per la valorizzazione del messaggio, dell’etica e di uno stile di vita cristiano

Sostieni il portale ➔