Il Domani, quotidiano voluto da Carlo De Benedetti dopo l’addio a Repubblica, continua a manifestare interesse verso temi legati alla fede. Questa settimana la testata ospita un ampio servizio di Giovanni Maria Vian, già direttore dell’Osservatore romano e noto storico del cristianesimo, sulle principali tappe storiche delle traduzioni bibliche. Vian parte da un paradosso: «i manoscritti che conservano le versioni greche e latine dell’intera Bibbia sono del IV secolo, molto più antichi di quelli ebraici, copiati nel X secolo. Insomma, dall’antico latino attraverso l’antico greco si può risalire all’antico ebraico».
Succede perché «in età ellenistica, a partire dal III secolo prima della nostra era, i libri ebraici vennero tradotti in greco, la koinè diàlektos, “lingua comune” nel mondo mediterraneo e nel vicino oriente», garantendo così ai contenuti la conservazione e una diffusione più ampia. Il mito dei settanta saggi che diedero vita alla loro traduzione, chiosa Vian, «restituisce infatti la realtà multiforme e plurale di un complesso di traduzioni che dal III secolo avanti l’era cristiana hanno trasposto la visione biblica… traducendo testi ebraici perduti».
La versione in ebraico tornerà alla ribalta solo secoli dopo, in seguito all’impegno dei masoreti, cui si aggiungeranno più tardi gli affascinanti – sebbene non risolutivi – contributi dei rotoli di Qumran e del Pentateuco samaritano; proprio al testo ebraico, nel IV secolo, Girolamo accorderà la precedenza per la propria traduzione in latino, la cosiddetta Vulgata, che sarà per secoli “la Bibbia di tutto l’occidente”.
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