Come relazionarsi con l’Apocalisse? Giovanni Maria Vian, studioso di area cattolica, già direttore dell’Osservatore romano, propone sul quotidiano Domani un’ampia disamina sul modo di porsi di fronte all’ultimo libro della Bibbia.
In apertura, a titolo di avvertimento, Vian cita Girolamo, celebre traduttore della Bibbia in latino, secondo cui «l’Apocalisse di Giovanni ha tanti misteri (sacramenta) quante parole… in ogni parola si nascondono molteplici comprensioni (intelligentiae)». L’Apocalisse, insomma, si presenta come un libro oscuro, da maneggiare con cautela.
Il testo, ricorda l’autore, si apre con sette brevi lettere alle chiese dell’Asia e continua con «scene terribili o meravigliose che si concludono con la visione della Gerusalemme nuova, città “che scende dal cielo”, e con la venuta definitiva di Gesù»; scorrendolo è difficile non notare che si tratta di un libro “profondamente intriso di letteratura biblica ebraica, ispirato in particolare dalle visioni profetiche”.
Proprio per la sua natura il libro dell’Apocalisse richiede uno sguardo ponderato: «il letteralismo non si addice proprio al genere letterario apocalittico», avverte Vian, «originato com’è da contesti religiosi e politici drammatici: le persecuzioni antiebraiche per Daniele e gli apocrifi, oppure quelle di Nerone o di Domiziano per l’Apocalisse giovannea». Eventuali previsioni del futuro basate sull’Apocalisse sono, secondo Vian, “improbabili e sterili”, se non proprio pericolose, come insegna la storia di derive settarie che hanno punteggiato con le loro interpretazioni – e tragici sviluppi – la storia passata e recente.
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