Astutillo Malgioglio, fare il bene in silenzio

By 1 Dicembre 2021Dall'Italia, Focus, Sport

Fino a oggi per la maggior parte dei nati negli anni Settanta il suo era solo un nome abbinato a una figurina dell’album calciatori: Astutillo Malgioglio, onesto portiere dal nome originale, per anni ha difeso i pali di Brescia, Pistoiese, Roma, Lazio, Inter, Atalanta e in questo ruolo veniva ricordato. Oggi Malgioglio torna agli onori delle cronache perché lunedì 29 novembre è stato insignito dal presidente Mattarella di un’onorificenza – Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana – per «il suo costante e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia».

Un impegno che lo vede coinvolto dal lontano 1977, nato in seguito a una visita presso un centro per bambini cerebrolesi: «fu un’emozione fortissima – ha raccontato in un’intervista al Fatto -, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro».

Da quel momento ha dedicato buona parte del suo tempo e delle sue risorse ai ragazzi in difficoltà, coinvolgendo quando possibile le società in cui giocava e alcuni suoi compagni di squadra, senza scoraggiarsi di fronte alla vergognosa ostilità di certe tifoserie (cui peraltro Astutillo non le mandò a dire).

Con i proventi dei suoi ingaggi ha portato avanti per diversi anni una palestra per la riabilitazione dei disabili, struttura che ha dovuto chiudere i battenti nel 1994 per carenza di fondi; nel 2001, come se non bastasse, si è arenata anche l’associazione collegata al suo impegno sociale, ma nonostante questo – dopo un attimo di comprensibile scoramento – insieme a sua moglie ha deciso di proseguire dedicandosi all’assistenza domiciliare gratuita.

Malgioglio considera il suo impegno qualcosa di scontato, tanto che oggi non si capacita del riconoscimento concesso da Mattarella: «l’ho fatto perché me lo sentivo – ha confessato al Corriere -, è sempre stato il progetto di Dio per me».

«Ho iniziato a 19 anni – ha spiegato inoltre a LaPresse -, quindi sono oltre 40, e ancora oggi quando una persona mi chiama vedo sempre la figura di Cristo: hanno bisogno e io sono lì a disposizione. Anzi, forse sono più io ad aver bisogno di loro che loro di me».

foto: open.online

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