Ennesimo colpo di scena nella vicenda del ddl Zan: a esprimere perplessità sul testo ora è anche Matteo Renzi, che chiede alcune modifiche al disegno di legge prima di procedere all’approvazione in Senato. Contrarietà alla richiesta si registra da Pd e M5S, consapevoli che ogni cambiamento comporterebbe un ritorno dell’articolato alla Camera dei Deputati, e rischierebbe – visti i tempi della legislatura – di non vedere mai la luce. Salvini e il centrodestra guardano invece con favore la conversione di Renzi, consapevoli che la sua diserzione potrebbe far mancare i numeri in aula.
A margine Piergiorgio Odifreddi sulla Stampa fa il punto degli schieramenti. Sul ddl Zan, scrive il matematico, «ciascuno ha i suoi dubbi sponsor: Salvini e il Vaticano, da una parte, e Fedez e la Ferragni, dall’altra». Se le chiusure sono una posizione che Odifreddi considera “conservatrice e ottusa”, sull’altro fronte lo lascia perplesso la logica del disegno di legge, almeno per quanto attiene l’ideologia di genere: «secondo i promotori, il diritto alla libertà sessuale si baserebbe sull’affermazione che i sessi non esistono. O, se proprio esistono, comunque non contano, perché a contare non è quello che uno è, ma quello che uno sente di essere. In questa logica c’è però un “non sequitur”. Si possono infatti benissimo difendere i diritti dei diversi, senza dover per forza affermare che i diversi non esistono». Insistere sulla difesa del caposaldo gender fluid, secondo Odifreddi, non è “di sinistra“: «semmai è di sinistra la difesa dei diritti dei diversi, e non la professione di un’ideologia che è stata contrastata, anche a sinistra, da tutti coloro che credono che l’identità di genere non abbia senso. Ad esempio, le femministe, che per poter essere tali devono appunto pensare di essere femmine». Oltretutto, conclude Odifreddi, «l’identità di genere non è affatto un problema sentito dalla maggioranza della popolazione, com’era appunto il divorzio negli anni Settanta. È piuttosto un problema sentito da una minoranza della politica, che è disposta a tutto pur di inserirlo in una legge: anche a non fare compromessi sulla difesa dalla violenza sui diversi».
Gli fa eco Lucetta Scaraffia nella stessa pagina rilevando che «il mondo vero, quello concreto della vita quotidiana, sembra andare proprio in un altro senso». È sufficiente un’occhiata in qualsiasi negozio: «dalla nascita, i prodotti di ogni tipo per i bambini sono divisi in due settori incomunicabili legati all’identità sessuale… È ovvio che il mercato ha tutto l’interesse a marcare la differenza, in modo che i vestiti della sorellina o della cuginetta non possano passare al maschietto più piccolo». Ma se le vocali finali sono oggetto di una surreale caccia (anti)sessista, contro il mercato nessuno spende una parola: «curiosamente dunque, mentre viene visto come frutto di una oppressione quanto stabilito dall’anagrafe biologica e da quella burocratica – ancora oggi ostinate a definire un nuovo nato maschio o femmina – viceversa questa insistenza binaria del mercato non sembra sorprendere nessuno… Che si tratti di una ribellione inconsapevole? Che il mercato stia guidando una rivolta reazionaria?». Cambiare mentalità, conclude Scaraffia, anche a volerlo fare richiede «tempo, pazienza, e comprensione anche nei confronti di chi non condivide le innovazioni. E magari qualche ragione ce l’ha».
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