Da Nordio a Letta, la Bibbia nei palazzi della politica

By 3 Febbraio 2023Curiosità, Dall'Italia, Focus

Doppia citazione biblica – e trasversale – in prima pagina sul Corriere. È successo domenica scorsa per un curioso incrocio a distanza tra governo e opposizione, ognuno alle prese con le proprie pene e con i propri riferimenti, stavolta più sorprendenti del solito.

Ha aperto le danze il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che il venerdì precedente aveva commemorato Rosario Livatino, il giudice siciliano trucidato dalla mafia nel 1990. Nei giorni scorsi a Roma è stata esposta la camicia macchiata di sangue che il giudice indossava il giorno dell’omicidio e l’orazione del ministro, a margine di un concerto in ricordo del giudice (il video è qui), ha tenuto insieme fede e laicità.

Nordio ha parlato di Livatino, recentemente beatificato dalla chiesa cattolica, come di “un martire cristiano che ha perdonato i suoi assassini nel momento in cui lo sopprimevano” e ha richiamato “il mysterium fidei che consola le tragedie di questa nostra vita precaria e temporanea per mutarne la visione in una prospettiva di Eternità”. «È infatti l’eternità che fonda la differenza tra la visione laica della razionalità e quella escatologica dell’anima religiosa», ha sottolineato Nordio, «ed è questa l’eredità preziosa del primo magistrato beatificato».

Il ministro ha poi ricordato come la memoria di Livatino ispiri “fede quando essa sembra vacillare”, “speranza quando sembra che non vi siano più ragioni per sperare” e “carità persino nei confronti dei più malvagi tra i malvagi”. Il ricordo di Livatino però, ha aggiunto Nordio, ispira anche giustizia: «non tanto e non solo la giustizia mondana, per la cui incomprensibilità Giobbe inviava al Signore le sue lamentele. Sappiamo bene che in questa citivas hominis il giusto è spesso oppresso dal dolore mentre il maligno gode della sua iniquità; la giustizia che ci ispira invece Livatino va invece oltre l’onore della sua toga».

Il ministero della Giustizia, come noto, è uno tra i ruoli più scomodi di ogni governo; la sua azione richiede passi attenti sul piano giuridico – contesto delicatissimo, dove l’effetto domino è sempre in agguato – e resistenze sul piano politico. L’impegno di Nordio, nei primi cento giorni di governo, è stato oggetto di numerosi attacchi e critiche non solo dall’opposizione, ma anche dalle stesse forze che compongono maggioranza e, non ultimo, dai suoi ex colleghi magistrati, attacchi così intensi da far circolare voci di dimissioni.

Su quest’ultima questione Nordio ha lanciato un monito per scoraggiare i detrattori: “Ho la pazienza di Giobbe”, ha avvertito, con ovvio riferimento al personaggio citato poche ore prima, in un inciso che è finito appunto in prima pagina sul Corriere.

Al ministro Nordio ha fatto eco, dal pulpito del consiglio nazionale del Partito democratico, il segretario uscente Enrico Letta. E qui la citazione scelta è perfino più colta e, forse, meno scontata. Il Pd vive da anni una crisi di identità (oltre che di unità, ma quello è un marchio di fabbrica dell’area progressista nostrana) che, secondo i suoi detrattori, l’ha portato a perdere di vista i temi più sentiti dai potenziali elettori.

La débacle elettorale dello scorso settembre ha convinto il segretario, Enrico Letta, a dimettersi e dare il via a un percorso che, nelle intenzioni, dovrebbe indicare una nuova guida e, soprattutto, fare chiarezza su valori e priorità del partito (stando alle cronache, però, l’iter non sembra a buon punto). Va detto che il mandato di Letta, richiamato dalla Francia dopo l’ultimo – ormai penultimo – testacoda del partito, non è stato semplice, in un contesto politico complesso che a più riprese ha richiesto scelte non banali e, per questo, non sempre apprezzate da tutti; nel suo ultimo discorso da segretario, ricordando le vicissitudini degli ultimi anni, Letta ha parlato di “amarezze e ingenerosità” vissute all’interno del Pd e ha rivendicato la propria decisione di rimanere alla guida fino all’elezione della nuova segreteria.

Nell’incedere del discorso, Enrico Letta ha poi scomodato nientemeno che Paolo di Tarso, citando una frase di quello che, per certi versi, viene considerato il testamento spirituale dell’apostolo: «Ho combattuto la buona battaglia», ha scandito Letta, «ho terminato la corsa, ho conservato la fede».

Al di là del versetto citato, a fare più rumore è il non detto, come non hanno mancato di rilevare gli analisti politici: «Resta però la citazione di San Paolo», riflette Roberto Gressi, «sulla quale vale la pena di indagare perché il riferimento è alla Seconda lettera a Timoteo, che dice anche altro di quanto raccontato all’inizio. Avverte della necessità di lottare contro il pericolo attuale dei falsi dottori, e mette in guardia sull’arrivo di tempi difficili, dove gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, ingrati, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati. Un bivio non da poco per il Paese e per il nuovo Partito democratico».

foto: corriere.it

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