Figli, tra desideri e diritti

By 19 Marzo 2023Dall'Italia, Focus

I nuovi diritti hanno ripreso il centro della scena in seguito a una decisione della maggioranza che, al Senato, ha bocciato la bozza del regolamento UE sul certificato europeo di filiazione, in base al quale «la genitorialità stabilita in uno Stato membro va riconosciuta in ogni altro Stato membro, senza procedure speciali». Lo stop è arrivato dalla commissione Politiche europee, secondo la quale «l’obbligo di riconoscimento del certificato Ue di filiazione non rispetta i principi di sussidiarietà e proporzionalità, per cui se venisse adottato sarebbe un’invasione del diritto europeo su quello nazionale».

La normativa in esame puntava a garantire il riconoscimento a prescindere dalle premesse, ossia «che si tratti di figli di coppie eterosessuali od omogenitoriali, di figli adottati o avuti con la maternità surrogata dove sia consentita». 

Alla luce di questo dettaglio diventa evidente che l’adozione di un regolamento simile avrebbe portato, di fatto, al riconoscimento indiretto dell’utero in affitto, una pratica illegale in Italia; per analogia viene da pensare che, in un futuro prossimo, la Corte costituzionale avrebbe notato la discrepanza tra il trattamento riconosciuto a chi può permettersi di andare all’estero per accedere a tale (costosa) pratica, e chi invece non può, e magari avrebbe concluso sancendo l’incostituzionalità dell’attuale divieto. Insomma, poteva essere – e per ora non sarà – un modo per aggirare la volontà politica di una maggioranza nazionale nei confronti di una pratica che, sul piano etico, viene vista con diffidenza anche in campo progressista.

Al di là della bocciatura del giorni scorsi, la questione rimane, e quelle che nella bozza vengono chiamate “coppie omogenitoriali” rappresentano un dilemma etico per la società contemporanea. Il riferimento è a una coppia composta da due persone dello stesso sesso che, impossibilitate per natura a procreare, affidano il loro desiderio di diventare genitori a una donna esterna alla coppia, una persona spesso rimborsata per il “disturbo” di una gravidanza portata avanti per conto terzi. Il fronte che sostiene i nuovi diritti – con ampi distinguo per esempio sul versante femminista – considera la pratica come un gesto di civiltà e altruismo; sul fronte conservatore invece si fa notare che la donna, in diversi casi, è una persona bisognosa, che accetta l’offerta per necessità, nonostante gli intuibili traumi cui va incontro una donna che viene separata dal bambino che ha appena partorito.

Il confronto tra le parti, in questo campo, pare inconciliabile: se la maggioranza definisce “inaccettabile” l’utero in affitto, le opposizioni (il Partito democratico in primo luogo) considerano invece inaccettabile il “comportamento discriminatorio” nei confronti dei bambini (così si è espressa Irene Tinagli), e accusa il governo di spostare l’Italia verso posizioni ungheresi e polacche. In medio, nel cosiddetto terzo polo, Carlo Calenda si definisce «contrario alla depenalizzazione della gestazione per altri» ma nel contempo considera «assurdo e ingiusto che i bambini ne subiscano le conseguenze negative», come se le due questioni fossero scindibili.

Forse allora, per inquadrare il problema in una prospettiva migliore, è necessario fare un passo indietro e cambiare quesito. «Oggi il nocciolo della domanda di giustizia è per noi nel quesito: “Giusto per chi?”», sintetizza Giuseppe Anzani su Avvenire. «Se la visuale è quella del diritto di una coppia gay o lesbica ad “avere” figli, è la volontà del desiderio impossibile. Se non a prezzo di una finzione che sottrarrà programmaticamente al figlio il diritto di avere un padre e una madre. È questa l’ingiustizia prima. Dopo non c’è che “la giustizia del giorno dopo”».

foto: rainews.it

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