Martedì scorso il noto programma di Canale 5 ha documentato, non senza un certo sarcasmo, le operazioni di un gruppo cristiano che, nel corso delle sue riunioni, opera guarigioni “nel nome di Gesù”. I volti e l’ubicazione della sala sono stati opportunamente oscurati (unico indizio: le riunioni si tengono presso “un locale commerciale sfitto”) mentre i responsabili della comunità pregavano, imponevano le mani e, a margine di una funzione, celebravano un battesimo in una tinozza posizionata in un’officina adiacente.
Alla fine l’unico vero addebito che l’inviato di Striscia, Luca Abete, ha sottoposto ai responsabili è stata una frase, incauta, con cui dopo la preghiera si invitavano i malati al ravvedimento e si aggiungeva di “non prendere più medicinali”. I responsabili, di fronte alle domande di Abete, inizialmente hanno risposto con una certa efficacia (“noi non diamo guarigione, chiediamo guarigione”), tentando anche di offrire un inquadramento teologico (con qualche accenno alla dottrina della colpa generazionale) per poi spazientirsi di fronte all’incalzare di Abete e concludere – purtroppo – apostrofandolo implicitamente come inviato del demonio (“non stai parlando tu, parla quello che c’è dietro di te”).
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