Forse, nel dibattito pubblico, si comincia a intravedere qualche barlume di resipiscenza. Dopo mesi passati a infilare il patriarcato in ogni discorso, polemica, insulto, sono diversi i commentatori (e, in questo caso va sottolineato, le commentatrici) che prendono le distanze da un uso inflazionato – e quantomeno improprio – del termine.
Ha iniziato Concita De Gregorio che, qualche tempo fa, ha pubblicato su Repubblica un intero articolo parlando di approccio padronale, là dove ci saremmo aspettati di trovare citato costantemente l’altro termine. Poteva essere un caso, e invece nel tempo si sono intravisti altre prese di distanza e inviti, sempre più espliciti, a recuperare una sobrietà di linguaggio lasciata sfuggire per dare retta alle piazze.
Di fronte a un recente ritorno del termine nel suo significato deteriore, è intervenuta Paola Mastrocola. Che sulla Stampa – testata su cui si è sviluppata in buona parte la battaglia ideologica in questione – ha voluto essere più didascalica possibile: «se vivessimo in un sistema patriarcale, noi donne saremmo tutte chiuse in casa. A pranzo e a cena serviremmo i nostri mariti e parleremmo solo se interrogate. Invece andiamo ogni giorno dove ci pare e parliamo ovunque e a chiunque, dicendo quel che pensiamo».
«Se vivessimo in uno Stato fascista», ha rincarato poi Mastrocola, «saremmo costretti ad andare alle adunate e, se ci opponessimo al regime verremmo incarcerati, torturati e uccisi. Invece mi pare che godiamo ancora e ampiamente di libertà di azione, di pensiero e di parola». Un motivo più che valido per esprimersi in maniera appropriata: «Stiamo attenti a usare bene le parole. Non vanifichiamo le nostre lotte usando le parole sbagliate», ammonisce ancora l’autrice. Il vero tema dovrebbe essere, spiega, il maschilismo e tutto il portato di messaggi che pervadono la società.
Invece il patriarcato, continua Mastrocola, nel senso più criticato del termine, in realtà non esiste da tempo (già suo padre, scrive, “non era un patriarca, però faceva il padre. Un padre severo che educa i figli ponendo delle regole, ovvero insegnando loro l’esistenza di un limite”) se non in “qualche anfratto del mondo occidentale”. Soprattutto però, rileva Mastrocola toccando un altro nervo scoperto, il concetto prospera «nel mondo islamico, e quindi nelle famiglie di origine islamica che vivono da noi in Italia. Ed è terribile che non stiamo facendo niente per contrastarlo. È la loro cultura, diciamo. Quindi, in nome del nostro illuminato multiculturalismo, lasciamo imperterriti che certe atrocità dei maschi contro le donne si compiano sotto i nostri occhi. Imperterriti. Indifferenti. E, aggiungerei, ipocriti».
foto: lastampa.it