L’estate del caldo torrido e della violenza cieca non sembra volerci lasciare: e se sul fronte del meteo forse qualche cenno di cedimento si comincia a intravedere, le cronache continuano a riempirsi di vicende drammatiche. Cambiano carnefici, vittime e modalità ma non cambia il risultato: una scia di morti, spesso innocenti, quasi sempre ignari del destino cui andavano incontro. L’ultimo dramma in ordine di tempo si è consumato a Paderno Dugnano, nel milanese, dove un diciassettenne ha accoltellato a morte padre, madre e fratello di dodici anni con una violenza che lui stesso non ha saputo spiegare. Proprio come non sa spiegare il proprio gesto l’uomo – il suo colore non è rilevante: era cittadino italiano, cresciuto in Italia, ben inserito nel tessuto sociale – che ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni a Terno d’Isola, nella bergamasca.
Sul Corriere, Susanna Tamaro attribuisce la colpa di questi sfoghi alla violenza che, ormai da lustri, le nuove generazioni assorbono in rete: se un ragazzo «a dieci anni di età ha già assistito a un numero incredibile di omicidi, sparatorie, atti efferati come si può essere così leggeri da pensare che il cervello non assorba e rielabori costantemente questi contenuti?», si chiede la scrittrice.
Viviamo, aggiunge Tamaro, nel mito del bambino che nasce perfetto, e quindi «liberi tutti perché il male non esiste e non dobbiamo fare nessuno sforzo per contrastare queste oscure e ataviche pulsioni che vivono costantemente dentro di noi». Un tempo, ricorda Tamaro, «la società, la scuola, la famiglia erano consapevoli che i difetti dei bambini andavano corretti e che educare voleva dire privilegiare le virtù davanti all’indolenza dei vizi», un passaggio necessario in quanto «gli esseri umani sono portatori di una grande e anche oscura complessità e il momento in cui ci si scorda di questo abbiamo già fatto un passo verso il baratro».
Tendiamo infatti a volerlo ignorare ma, avverte la scrittrice, «nel mondo la presenza attiva del male invece esiste, basta aprire qualsiasi notiziario per esserne consapevoli, e questo male può agire come un tarlo dentro di noi, lavorare silenziosamente logorando la struttura, oppure può esplodere con il fragore di un grande petardo, accecando e facendo compiere atti di cui mai ci si sarebbe creduti capaci».
Siamo materia oscura, insomma, e abbandonandoci a noi stessi non possiamo mai considerarci al sicuro, «l’educazione è un cammino che dovrebbe proseguire tutta la vita e questo cammino – capace sempre di mettere a fuoco le debolezze e di lottare per vincerle – necessita della più umana, e ormai lungamente ridicolizzata, delle forze: quella di volontà».
Tamaro conclude con una citazione biblica: «ultimamente, davanti alla deriva della nostra civiltà, mi torna spesso in mente il primo Salmo che, nella traduzione da me preferita, dice: “Beato l’uomo che non siede nel consesso dei beffardi”». I beffardi, spiega, sono coloro che «manipolano la realtà, seguendo il loro orizzonte che non è quello della costruzione ma piuttosto della distruzione. I beffardi proclamano ormai da troppo tempo che il metro di ogni cosa è il nostro desiderio e che è lecito compiere ogni atto per realizzarlo, perché il bene è unicamente ciò che fa bene a me. È forse giunto il momento che le persone che non desiderano sedere in questo consesso comincino ad alzarsi in piedi e dire una serie di “adesso basta”». A partire, chiosa, dal lassismo nella condanna delle droghe leggere, che offuscano la mente e, in soggetti deboli, rischiano di portare a risultati devastanti.
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