
Si parla ancora del rapporto, tormentato ma solido, tra Donald Trump e gli evangelici: un articolo della Treccani affronta la questione da un punto di vista sociologico, tentando di capire che cosa abbia convinto un gruppo dai solidi valori biblici a sostenere un personaggio dall’etica più che dubbia (preferendolo, all’epoca, a un più coerente Ted Cruz).
In realtà non è semplice parlare di evangelici, spiega nel suo articolo Mario del Pero, professore di storia internazionale a SciencesPo: è una storia «fatta di scismi, grandi risvegli religiosi, trasformazioni demografiche, differenze regionali, strutturazione politica e crescente impegno missionario, dentro e fuori gli Stati Uniti», una storia che a ben vedere rispecchia vicende comuni anche ad altre aree geografiche. «Nella definizione più celebre e utilizzata», spiega ancora del Pero citando David Babbington, «i pilastri teologici e in ultimo politici dell’evangelicalismo sarebbero quattro: l’autorità della Bibbia da affermarsi attraverso una sua lettura (e interpretazione) letterale; la conversione matura e consapevole al cristianesimo, con un percorso di scoperta e “rinascita” individuale (born-again); l’impegno attivo alla diffusione del vangelo, che giustifica impegno politico, proselitismo e azione missionaria; l’enfasi sul sacrificio di Gesù Cristo come salvifico momento di espiazione che permette la redenzione dell’umanità».
Ai capisaldi di «biblicismo, “conversionismo”, attivismo e centralità della croce (crucicentrism)» si accompagna «una struttura orizzontale, plurale e priva di gerarchie precise e riconosciute, capaci d’imporre disciplina e condivisa ortodossia», e questo rende la realtà evangelica “fluida e non di rado litigiosa”.
Un mondo effervescente ma, sembrerebbe, in difficoltà: “il numero di fedeli è significativamente diminuito negli ultimi dieci-quindici anni”, un calo “impressionante, relativo e assoluto”, nota del Pero, che tra il 2006 e il 2022 ha portato il numero degli evangelici dal 23 al 13,6%. Al di là di una crisi reale ma misconosciuta, com’è possibile che gli evangelici americani abbiano optato per Trump, e stavolta “per scelta e non per necessità, come fu nel 2016”? Le ragioni, spiega del Pero, sono di tre tipi, politiche, ideologiche e teologiche, e sono strettamente intrecciate.
Dal punto di vista politico Trump «ha ricambiato il supporto dei primi dando loro gran parte di quel che chiedevano»; sul piano ideologico «Trump parla il linguaggio di un aggressivo nazionalismo cristiano»; sul versante ideologico, invece, «Trump parla anch’egli il linguaggio dell’Apocalisse», cui si aggiunge la retorica dell’opulenza, «che in fondo fa breccia dentro un “vangelo della prosperità” a sua volta assai popolare nel mondo evangelico».
Un “oscillare tra apocalisse e successo, carneficina e rinascita” che affascina, blandisce, coinvolge. E fatalmente convince, eclissando ogni altra possibile considerazione.
foto: treccani.it