Trump, un attentato che fa discutere

By 23 Luglio 2024Esteri, Focus

Il colpo di scena che ancora mancava alle presidenziali americane per avvicinarle alle serie televisive più coinvolgenti: un attentato, fortunatamente fallito, allo sfidante. A farne le spese è stato Donald Trump, che a un comizio a Butler, in Pennsylvania, è stato preso di mira da un cecchino improvvisato su un tetto non troppo distante dal comprensorio dove si teneva il raduno. Improvvisato ma con una mira efficace, se è vero che Trump si è salvato solo per aver voltato la testa. Dopo i primi spari l’attentatore è stato abbattuto dalle forze dell’ordine, e Trump è riuscito a incitare la folla a resistere (“fight, fight, fight!”): rimarrà negli annali l’immagine combattiva dell’ex presidente con il pugno alzato e il viso rigato di sangue, scattata un attimo prima che gli agenti decidessero, finalmente, di portarlo al sicuro.

Nel conflitto a fuoco è rimasto ucciso un uomo che partecipava al comizio, un vigile del fuoco cinquantenne, e altre due persone sarebbero rimaste ferite. Trump si è ripreso rapidamente, ma rimangono le polemiche per i buchi nella sicurezza, ingiustificabili sessant’anni dopo l’assassinio di Kennedy a Dallas. Rimane, immancabile in tempi social, l’eco dei complotti sul mandante: la tesi più accreditata dai tuttologi del web è ovviamente il Mossad, e poco conta far notare che nell’ultimo anno i servizi israeliani hanno dimostrato di avere qualche problema serio perfino sul fronte interno. E rimane qualche riflessione anche sui toni eccessivi del confronto elettorale, giunti a un livello insopportabile anche a causa delle intemerate dello stesso Trump, che dopo aver seminato vento ha rischiato di raccogliere tempesta.

A proposito, The Donald ha voluto dare una prospettiva spirituale alla vicenda: «è stato solo Dio ad impedire che accadesse l’impensabile. Non temeremo, ma rimarremo invece resilienti nella nostra Fede e sprezzanti di fronte alla Malvagità», ha scritto sui social facendo appello all’unità.

Un messaggio in cui l’ex presidente probabilmente crede davvero, riflette Paolo Mastrolilli su Repubblica: «è possibile che Trump veda davvero la mano di Dio nella sua sopravvivenza», e inoltre «usando questi toni manda un messaggio in codice ai sostenitori che lo ritengono sul serio l’inviato del Signore per salvare l’America».

Dall’attentato di Butler, insomma, Trump rischia di trasfigurare la propria immagine: il ritratto del battagliero candidato determinato a riportare l’America alla sua antica grandezza potrebbe assumere sfumature messianiche. «I riferimenti religiosi, che hanno fatto breccia da anni soprattutto nel mondo evangelico», ragiona Massimo Gaggi sul Corriere, dipingono «il quasi martirio di Trump come corpo del leader offerto in sacrificio per la redenzione dell’America. E, poi, il leader salvato miracolosamente dalla mano del Signore: l’immagine postata su Instagram e X dalla nuora, Lara Trump, le mani di Gesù sulle spalle di un Donald pensoso. Molti politici repubblicani hanno parlato di un Trump solo sfiorato dalla pallottola grazie all’aiuto di Dio». Una perfetta “intersezione tra politica, religione e populismo” che risale ai tempi di Abramo Lincoln (“paragonato da molti nordisti al Messia” e, dopo l’assassinio, paragonato a Gesù).

Del resto è ormai consolidato l’asse tra Repubblicani ed elettorato evangelico, un’intesa nata ai tempi di George Bush («nel 2004 la permanenza di George Bush alla Casa Bianca sembrava in pericolo per l’impopolarità delle sue guerre, un grosso contributo alla rielezione venne dal suo stratega elettorale, Karl Rove, che andò a cercare negli Stati chiave sacche di evangelici, conservatori ma fin lì estranei alla politica») ma messa a sistema da Trump con l’uso “dei simboli cristiani per esorcizzare momenti per lui difficili” e “una retorica nella quale si presenta come il Salvatore” (la maiuscola è del Corriere, ndr). I suoi sostenitori non sono da meno, avvicinando la “persecuzione giudiziaria di Trump e la crocifissione di Cristo” (paragoni “aumentati vertiginosamente quest’anno” sui social), mentre i pastori dal pulpito spiegano che «Trump ha fatto anche cose vergognose, ma non è la prima volta che Dio usa un peccatore per perseguire i suoi disegni»; in questo quadro teologico dai riverberi non troppo rassicuranti l’ex presidente «ha sfruttato l’immagine della crocifissione, ma poi, consapevole di essere un peccatore, è stato attento a non paragonarsi al figlio di Dio».

Qualche dubbio, semmai, emerge analizzando i dettagli, per esempio ascoltando l’intervista in cui spiega che “poteva essere morto” e invece è ancora qui «by luck or by God», per fortuna o grazie a Dio. «Trump non si è sbilanciato nello scegliere la potenza grazie a cui è ancora tra i vivi: se la fortuna o se Dio», rileva Vito Mancuso sulla Stampa. Un’attribuzione lasciata “prudentemente in sospeso”, nota il teologo, che tuttavia «diviene dirimente non appena si inizia a pensare: Scusi, per fortuna “o” per Dio?».

foto: repubblica.it

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