Addio a Jimmy Carter, un secolo tra politica e fede

By 7 Gennaio 2025Esteri

Difficile dire se il tempo sia davvero galantuomo; di certo, però, a volte si occupa di ristabilire le corrette prospettive sulle vite degli uomini, anche se sono pochi coloro che sopravvivono abbastanza per godersi il risultato. Jimmy Carter, scomparso nei giorni scorsi, è uno che si è preso questa soddisfazione.

39° presidente degli Stati Uniti, in carica dal 1977 al 1981, Carter viene ricordato nei libri di storia senza troppa enfasi, stretto insieme a Johnson, Nixon e Ford in un arco di tempo che ha visto passare gli USA da John Kennedy a Ronald Reagan, dalla conquista della Luna ai primi passi del disgelo USA-URSS. Carter non ebbe la fortuna storica dei grandi nomi: «l’emblema di Jimmy Carter fu la sconfitta», sintetizza Marco Follini sulla Stampa. «Meglio, le due sconfitte, inanellate l’una nell’altra. La sua incapacità di liberare i prigionieri americani presi in ostaggio dagli ayatollah iraniani. E la perdita della Casa Bianca due anni dopo a vantaggio di Ronald Reagan».

Non gli giovarono nemmeno gli storici accordi di Camp David, che ristabilirono i rapporti tra Egitto e Israele («il più duraturo trattato di pace post Seconda guerra mondiale», sottolinea Follini), una firma che ancora resiste agli oltraggi di un tempo, di un clima, di un mondo profondamente mutati rispetto ad allora.

A voler essere ottimisti «la parabola di Jimmy Carter… è racchiusa tra un capolavoro diplomatico e un disastro politico» (così Paolo Garimberti su Repubblica), solo che il secondo, nella memoria collettiva, ha eclissato il primo.

Non l’hanno aiutato l’inflazione, la situazione internazionale (fu il presidente del boicottaggio olimpico di Mosca 1980), la crisi energetica e il fatto che, a causa della crisi, dovette chiedere «all’America sacrifici: essere meno materialisti, e questo lo rese impopolare. La moglie glielo rimproverava e lui alzava le spalle: “Era la cosa giusta da fare”».

Sia come sia, questo americano medio cresciuto nell’America rurale, di modi spartani e vedute aperte (si schierò con convinzione a favore dei diritti civili e politici), ha saputo uscire di scena con dignità per costruirsi un secondo tempo lontano dalle trame di Washington, dedicandosi ai bisogni del prossimo attraverso il sostegno a operazioni umanitarie in patria e all’estero.

Un cancro superato a 94 anni suonati, nuovi problemi di salute alla soglia del secolo, cure palliative durate oltre ogni previsione (i medici ne presagivano l’imminente trapasso già due anni fa): Carter ha tagliato il traguardo dei cent’anni contro tutte le aspettative – entrambi i collaboratori designati all’epoca per l’elogio funebre se ne sono andati prima di lui – e si è preso pure la soddisfazione di votare un’ultima volta alle presidenziali americane.

Fin qui, storia e cronaca. Quello che i giornali italiani hanno dimenticato di ricordare nelle pagine dedicata a Carter è la sua fede cristiana: prima ancora di dedicarsi alla politica, fin da adolescente, l’ex presidente è stato monitore presso la scuola domenicale nella chiesa battista della sua città e anche in seguito ha parlato apertamente della propria fede, su cui ha scritto anche diversi libri.

foto: premierchristian.news

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