
E alla fine venne il giorno di Donald Trump. Lunedì 20 gennaio, come da programma, il neopresidente degli Stati Uniti ha giurato ed è entrato in carica, per la seconda volta, dopo la parentesi Biden.
Il meteo non è stato particolarmente generoso con lui: a causa di un’ondata di gelo artico la cerimonia è stata spostata (non succedeva da quarant’anni) dalla consueta scalinata ovest del Campidoglio alla Rotonda, uno spazio scenografico ma molto meno capiente, lasciando disorientate le duecentomila persone che si erano prenotate per assistere e, verosimilmente, festeggiare insieme a Trump. La giornata è cominciata, come avviene in questi casi, con una funzione religiosa presso la chiesa episcopale di St. John, a pochi passi dalla Casa Bianca; da lì, dopo una pausa alla Casa Bianca, il presidente uscente e l’entrante, insieme ai relativi vice, si sono spostati al Campidoglio dove Vance e Trump dovevano giurare qualche minuto prima di mezzogiorno, orario in cui scadeva il mandato di Biden.
I tempi devono essersi allungati tanto che solo Vance ha rispettato la scadenza; sarà per la fretta o altro (Franklin Graham opta per la prima ipotesi), durante il suo giuramento Trump ha tralasciato di appoggiare la mano sinistra sulle Bibbie scelte per l’occasione (la prima, appartenuta ad Abramo Lincoln; la seconda regalatagli dalla madre), rette invano dalla consorte Melania. Il gesto, ricorda il New York Times, non è obbligatorio (la Costituzione richiede solo che si giuri prima di assumere la carica) e in Italia è sfuggito a tutti mentre negli USA è stato notato e, sui social, ha dato la stura a diverse supposizioni. Sia come sia, Trump ha concluso la formula con l’abituale, anche se facoltativo, “So help me God”, che Dio mi aiuti, e su quelle parole è iniziato il suo secondo mandato.
A margine della cerimonia, come sempre, le preghiere di benedizione: la prima del cardinale cattolico Timothy Dolan, che ha sfoderato una serie di citazioni dotte che spaziavano da Lincoln al generale Patton; la seconda del pastore Franklin Graham che nella sua invocazione ha invece citato diversi episodi biblici. Dopo il giuramento hanno innalzato la preghiera anche il rabbino Ari Berman, il vescovo cattolico Frank Mann e il vigoroso e teatrale pastore di Detroit Lorenzo Sewell.
Nel suo discorso di insediamento, Trump ha riservato toni duri nei confronti del suo predecessore (seduto a due passi da lui), ha ribadito le intenzioni già anticipate nei giorni scorsi su Panama e la nomenclatura geografica da modificare e ha infine preconizzato l’inizio di un’epoca d’oro per l’America, un Paese destinato a incutere rispetto (se non timore), a risolvere i problemi economici e la crisi, ma anche a sbarcare su Marte (entusiasta, dietro di lui, Elon Musk) e a veder tramontare definitivamente il wokism, la filosofia che ha trasformato l’inclusione in un esercizio di estremismo ideologico. Ora, passato il momento dei proclami, Trump avrà quattro anni per dare corpo alle sue promesse. O, almeno, per provarci.
L’ultima nota della giornata va alla copertura mediatica della cerimonia, per rilevare che sui media generalisti nostrani negli ultimi lustri è cambiato poco o niente: molti commenti, spesso eccessivi e pleonastici, che toglievano spazio alla traduzione e ai non meno significativi silenzi. Tra i momenti meno rispettati, come sempre, le preghiere; tra tutti i canali, l’unico a non ignorare l’invocazione di Franklin Graham è stato il Tg di La7, anche se Enrico Mentana ha avuto un momento di sorprendente defaillance, dimenticando il nome del pastore.
foto: nytimes.com