
Carlo Massarini in un ampio articolo pubblicato da Linkiesta ripercorre la carriera degli Staple Singers, “la famiglia del gospel” che a metà degli anni Sessanta fu elemento di raccordo tra fede e impegno politico, speranza cristiana e battaglia per i diritti civili.
All’epoca Pops Staple, il fondatore, ispirava e si ispirava a Martin Luther King, cantando i concetti predicati dal reverendo: è il culmine di un percorso iniziato lustri prima, nel 1948, a casa Staple.
Cinque anni dopo l’esordio uscirà il primo disco del gruppo, Sit down servant (“antico, solenne, leggermente arcaico, spirituale nel senso profondamente sudista”, lo descrive Massarini); negli anni, poi, gli Staple Singers spazieranno dal gospel al blues al r’n’r, con una puntata sul folk grazie all’incontro con “un ragazzo magro e nervoso, i capelli ricci e gli occhi blu che viene dal Nord ma ama il talkin’ blues del Sud”, Bob Dylan.
Dovunque vadano, spiega Massarini, “non sono loro ad adeguarsi, anzi, portano la frenesia e il potere del gospel, capace di eccitare una folla al Fillmore – come lo facevano in chiesa – solo con la forza delle voci e del battito delle mani”. Un talento non così comune: «Gli Staple Singers trasformano il teatro in una Chiesa fondamentalista con le loro canzoni piene di giubilo, frenetiche, ricche di significati religiosi e politici. Se qualcuno cerca una definizione veloce di soul, offro una risposta: gli Staple Singers», avrebbe riassunto un giornalista dell’epoca dopo averli ascoltati.
foto: linkiesta.it