AI, intelligenza senz’anima

By 8 Febbraio 2024Curiosità, Focus

L’intelligenza artificiale, tra alti e bassi, rimane la moda del momento: date in pasto al programma un tema o un link, e lui vi restituirà un testo sull’argomento, impegnandosi al posto vostro per cercare, selezionare, riassumere, redigere. Se ne sono accorti per primi gli studenti, che hanno accolto con soddisfazione questa scorciatoia capace di evitare lunghe ore sui libri per la preparazione di ricerche e tesine (ovviamente se ne sono accorte anche le scuole e le università, che sono corse ai ripari). Se ne sono accorte le testate giornalistiche più scalcinate, sempre alla ricerca di soluzioni per pagare meno (o non pagare proprio) i redattori, ma i risultati non sono stati troppo brillanti: i giornali, per esempio, hanno riscontrato che l’intelligenza artificiale ha un difetto, se non ha un dato se lo inventa in base a quello che considera verosimile, e questo elemento – difficile non intuirlo – crea qualche problema in termini di affidabilità.

Ma i problemi collegati a queste piattaforme non si esauriscono qui: il garante per la privacy ha infatti sottolineato come questi sistemi raccolgano e conservino – illecitamente – dati personali. La clamorosa decisione di bloccarne l’utilizzo sul territorio nazionale, ormai diverso tempo fa, è solo un palliativo che, per quanto possa venire deriso da chi domani si lamenterà per l’invasività di questi strumenti, fa luce sulla necessità di porre limiti umani alle potenzialità tecnologiche, prima di scivolare dentro scenari asimoviani sempre meno gestibili.

In tutto questo bailamme, qualcuno si è chiesto anche quale impatto potrebbe avere l’IA nel settore religioso, e in particolare per la preparazione di sermoni e omelie. Associated Press l’ha chiesto a Hershael York, pastore nel Kentucky e professore di predicazione cristiana al Southern Baptist Theological Seminary. La risposta è stata lapidaria: «Manca un’anima, non so come altro dirlo». Se l’intelligenza artificiale può essere una via d’uscita per pastori pigri (come lo è già oggi per redattori e autori di varia natura), difficilmente l’abitudine contagerà «i grandi pastori, quelli che hanno a cuore la propria gente».

Il problema per la loro gente, semmai, starà nel comprendere la differenza: un rabbino di New York ha proposto alla sua congregazione un esperimento, chiedendo di scoprire l’autore del suo intervento settimanale, per poi rivelare che il testo era stato scritto dall’intelligenza artificiale. E, di fronte all’applauso di alcuni membri, ha reagito con tipico humour ebraico: pensavo che i primi a perdere il lavoro a causa delle nuove tecnologie sarebbero stati i camionisti, ma ora comincio ad avere paura.

Lo spartiacque tra uomo e macchina, però, c’è. «ChatGPT potrebbe essere davvero bravo a sembrare intelligente, ma la domanda è: può essere empatico? E questo no, non può ancora farlo», ha chiosato Franklin. L’amore, la solidarietà, la compassione rimangono prerogative umane. Anche se, prima di sbandierarlo in faccia alle ultime tecnologie, forse dovremmo tenerlo a mente per primi noi umani.

foto di Tara Winstead

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