Lettera di un ebreo italiano a Ariel Sharon

By 1 Dicembre 2003Israele

Signor Primo Ministro,

sono costretto a scriverLe questa lettera aperta a seguito del suo discorso: «Ebrei, tornate a vivere in Israele perché è l’unico posto al mondo dove gli ebrei possono vivere da ebrei».

Non sono affatto d’accordo con Lei e con le sue parole che considero anzi una interferenza indebita e lesiva. La mia famiglia vive a Venezia da oltre 5 secoli e non permetto a nessuno, né ad un primo ministro né a qualsiasi altro di decidere per me dove devo andare a vivere. Non solo non sono uno straniero ma non permetto a nessuno sia esso un antisemita o un politico israeliano di decidere dove io debba andare ad abitare.

Forse Lei non mi conosce ma posso assicurarle che da oltre trent’anni dedico ogni mio sforzo all’elogio dell’ebraismo e alla difesa della condizione esistenziale ebraica e combatto gli antisemiti, più o meno camuffati.

Sono a favore dello Stato di Israele e a fianco del popolo ebraico per la sua sopravvivenza ma questo non mi impedisce affatto di vedere che altri popoli soffrono e hanno bisogno di veder riconosciuti i loro diritti: quelli dei palestinesi in particolare sono urgenti e indifferibili.

Sono ebreo, sono veneziano, sono italiano, europeo e cittadino del mondo e combatto razzismo e violenza di ogni tipo e non mi piace affatto quando qualcuno cerca di parlare a mio nome. Lei invece con le sue parole che sono chiuse in se stesse e non ammettono replica mi impone una sua visione pericolosa, mi coinvolge mio malgrado e crede di poter parlare non solo a mio nome ma anche a nome degli ebrei della Diaspora: così facendo trascura deliberatamente la complessità e la ricchezza delle multiformi espressioni del mondo ebraico a favore di una maldestra operazione di pura propaganda contingente e politica.

Signor Primo Ministro, mi dispiace deluderla, ma lei cinicamente mostra di sfruttare la situazione attuale per tentare di portare in Israele un altro milione di ebrei; per farne cosa? Carne da cannone? A cinquant’anni di distanza lo stato di Israele è una straordinaria e magnifica realtà, ma oggi occorre più che mai che anche i palestinesi abbiano dignità e patria nell’interesse proprio degli uni e degli altri: ognuno deve essere scudo e garanzia dell’altro. Puntando a ottenere forzose immigrazioni secondo me lei punta a una conflittualità permanente e pericolosa, forse più vicina alla sua mentalità di generale e combattente che non a quella di un primo ministro saggio e guida del suo popolo.

Mio cugino, figlio di un ebreo assassinato ad Auschwitz vive da molti decenni in Israele: ha fatto tutte le guerre di difesa e mi ha detto: «Vincere il nemico è necessario per sopravvivere, umiliarlo è gravissimo». Questa frase è di una saggezza elementare, ci pensi anche Lei un po’.

Ora, i kamikaze sono certo frutto di una ideologia fanatica e condannabile ma anche di una tragica umiliazione e sarebbe bene che si cominciasse a ragionare in termini di strategia di lungo periodo e non di tattica fine a se stessa di breve periodo. Lei quando si fece eleggere grazie al suo grande nemico Arafat, complice come Lei della idea del tanto peggio e del tanto meglio, Lei promise sicurezza. Oggi il risultato della sua azione politica è disastroso: l’economia dell’intera regione di Israele e dei palestinesi è a rotoli, la sicurezza di Israele è in pericolo e il suo buon nome all’estero è offuscato anche tra coloro che gli sono alleati. Da Lei, signor Ministro, non posso aspettarmi troppo. Mi piacerebbe però che Lei non perdesse mai l’occasione di parlare di pace, mi piacerebbe vederLa pronto a mettere in atto qualche atto simbolico ma anche concreto di benevolenza verso il popolo palestinese. Sia ben chiaro, non polemizzo sul famoso muro, Lei sa benissimo proprio da generale che una Linea Maginot non può essere che simbolica, Lei sa benissimo che quel muro in realtà è soltanto un modo per esorcizzare l’angoscia che attanaglia i cittadini di Israele, Lei sa benissimo che quel muro forse non verrà mai completato ed è soltanto un fatto psicologico. Quello che Le chiedo, però, signor Ministro, è di ravvedersi dai suoi errori politici come fece il suo predecessore Rabin e Le chiedo di guidare il popolo d’Israele verso un destino migliore.

Quanto agli ebrei della Diaspora ognuno decide con la sua testa e non ha bisogno né dei suoi incitamenti né delle sue parole d’ordine che sono solo propaganda. Lei, signor Ministro, ci mostra un volto ostile e prepotente, ma spero che Lei e Arafat presto apparteniate al passato.

Sappia comunque che non La considero solo responsabile della crescente insicurezza in cui vivono i cittadini israeliani, ma anche della crescente insicurezza che colpisce tutti gli ebrei della Diaspora.

Riccardo Calimani

(Morasha.it, 27.11.2003)

*

Risponde un altro ebreo italiano.

Caro Riccardo,

ricevo tramite Morasha la tua lettera aperta al Primo ministro di Israele Ariel Sharon. Permettimi dunque di risponderti nella speranza di rappresentare almeno tanti altri ebrei italiani quanti ne rappresenti tu.

Anche la mia famiglia vive in Italia da circa 500 anni anche se non sempre a Milano, dove solo da un secolo gli ebrei risiedono permanentemente, ciononostante quando Sharon ha parlato, e io ero presente a Roma al suo discorso, ho sentito un brivido nella schiena.

Un brivido di orgoglio, anche se vivendo in Israele le mie scelte politiche sarebbero diverse rispetto al partito di Sharon.

Mai nella storia recente fu concesso a noi ebrei di poter contare su un nostro Stato nazionale, proprio noi italiani dovremmo ricordare che solo 65 anni fa i nostri padri e nonni si ritrovarono all’improvviso senza patria anche se avevano servito lealmente questo Paese in pace e in guerra.

E allora caro Riccardo lasciami dire grazie a Sharon. Grazie per ricordarci che mentre tutt’intorno a noi si risentono le stesse parole e gli stessi sentimenti di 65 anni fa c’è un angolo nel mondo anche per noi. Io non temo di venire associato a Israele e al suo governo, io ne sono orgoglioso. Io non temo di rispondere all’appello di Sharon all’alià e se i miei figli lo vorranno seguire mi faranno felice. Non carne da cannone ma braccia e menti per portare a termine il meraviglioso sogno sionista e le sue miracolose realizzazioni. Non oppressori ma finalmente in pace nel Paese che può essere il faro per l’intero Medio Oriente.

Sono con te nella speranza che i palestinesi possano migliorare le loro condizioni di vita, peraltro è l’unico modo di arrivare alla pace, ma non è certo a Sharon che dobbiamo rivolgerci ma alla sanguinaria e corrotta oligarchia che governa quel popolo nel terrore e nella violenza. Libertà per il popolo palestinese, ma da Arafat e dalla sua cricca.

Quanto alla barriera difensiva ti sbagli di grosso quando la paragoni alla linea Maginot. Dovresti pensare a Gaza e al fatto che da lì (dove la barriera esiste da anni senza scandalo alcuno) i terroristi non passano. Scusami la provocazione ma ti invito a ripetere la tua teoria così nobile e strategicamente corretta a Natania o Naharia o a Haifa o in Galilea.

Detto questo vorrei tornare a Sharon e al suo invito che tanto ti ha scandalizzato: si tratta di un invito da parte del governo di Israele, cosa c’è di male? In Francia questo invito i nostri correligionari lo stanno prendendo sul serio e tra loro probabilmente c’è qualcuno che fino a qualche mese fa la pensava come te e faceva dei distinguo tra la sua essenza di cittadino francese di fede ebraica e lo stato di Israele. Purtroppo la storia tende a ripetersi e sono gli altri a ricordarti improvvisamente e senza apparente motivo che non sei più gradito nei luoghi dove la tua famiglia risiede da 500 anni.

Che non ci tocchi mai di dover sperimentare ancora l’antisemitismo militante e che se mai dovesse succedere anche qui ci sia ancora un governo di Israele che ci invita all’alià.

Andrea Jarach

(Federazione Associazioni Italia Israele, 27.11.2003)

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