Accade oggi in Israele

By 3 Febbraio 2004Israele

La nostra cara bambina

di Carol Rabinovich

Nel mezzo della gioia per il nuovo nipote, il mio mondo crolla.

Mia figlia e mio genero vengono a trovarci in occasione dello Shabbat. La casa è uno splendore, noi indossiamo i vestiti più belli, l’aria profuma di minestra di pollo, le candele sono pronte per essere accese, e poi….
“Abbiamo deciso di divorziare”, dice lei aspettando la nostra reazione.
Nostro genero non dice niente. Siamo scioccati e dispiaciuti. I miei pensieri ritornano a quando si sono sposati, sei anni fa, un meraviglioso giorno di luglio. Vedo mia figlia raggiante nel suo vestito bianco che lei stessa si era progettata, ed il suo semplice bouquet di fiori d’arancio.
“Ci amiamo come fratello e sorella”, lei cerca di spiegare, “ma non come marito e moglie”. Nostro genero è stato soggiogato. “E’ per il meglio”, aggiunge lui. Fa pena, siamo certi che non è stato lui a cominciare. Probabilmente c’è una terza parte coinvolta. Lei l’ha convinto che anche lui vuole uscire dal matrimonio, ma il comportamento di lui smentisce le sue parole. Lo amiamo come se fosse nostro figlio e lo abbiamo accettato nella nostra famiglia a braccia aperte. Sarà una perdita anche per noi.
Il divorzio procede senza intoppi. Non ci sono figli a complicare la faccenda, e la piccola proprietà coinvolta viene divisa con un semplice accordo amichevole.

Siamo contenti che nostra figlia sia felice

Ben presto veniamo a sapere che il nuovo partner di nostra figlia si è spostato dalla periferia al centro. Insieme hanno trovato casa e dicono di essere veramente felici. Dicono di essere due anime gemelle. Siamo contenti che nostra figlia sia felice. Non è questo il più grande desiderio di tutti i genitori?
Aspettiamo con pazienza che ci venga annunciato il progetto del loro imminente matrimonio. Aspettiamo invano, e quando con cautela affrontiamo l’argomento, veniamo subito respinti.
Noi, che con gioia festeggiamo il nostro trentacinquesimo anno di matrimonio, ci sentiamo persi e disorientati. Questo va contro tutto quello che crediamo. Quando i bambini erano piccoli e qualche volta mi sentivo sovraccaricata dalle responsabilità della vita di tutti i giorni, quando sentivo che la mia carriera, la mia crescita personale, i miei studi, dovevano essere messi da parte, tendevo a colpevolizzarmi per la mia insoddisfazione. Questo è il mio destino, argomentavo con me stessa. Se riuscirò a trasmettere loro la nostra eredità, in modo che possano a loro volta trasmetterla ai loro figli, Dayenu – questo sarà abbastanza.
Alla luce del grande, felice matrimonio di sei anni fa, convinciamo noi stessi a dire che capiamo il rifiuto di nostra figlia a fare delle seconde nozze un grande evento. Facciamo un passo indietro per mostrare comprensione, anche se interiormente ci sentiamo a pezzi. “Andate semplicemente da un Rabbino insieme a due amici come testimoni”, supplichiamo. “Non verremo neppure noi.” Ma la nostra richiesta trova orecchie sorde, e dobbiamo lasciar perdere.
Siamo combattuti tra l’amore per nostra figlia e il timore che un invisibile cuneo si introduca fra di noi. Dovremo vivere adesso una lontananza emotiva, oltre quella geografica?

Il vincolo matrimoniale

Alcuni mesi dopo, mia figlia e il suo nuovo compagno arrivano per lo Shabbat. “Sono incinta”, annuncia con gioia. Tutti e due sorridono raggianti. Sappiamo che questo è il naturale risultato del loro amore e del loro vivere insieme, ma fino ad ora ci eravamo rifiutati di prendere in seria considerazione questa possibilità. Quello di cui non si poteva parlare, adesso è accaduto. Ci siamo illusi credendo che non pensandoci la cosa non accadrà.
Le nostre reazioni sono confuse. Da una parte siamo contenti che una nuova vita si stia formando, dall’altra stiamo male da morire. Ma cerchiamo di manifestare gioia per amore di nostra figlia. L’abbracciamo e la baciamo. Si vede che sono così felici e amorevoli l’uno verso l’altro. Ancora una volta ricordiamo a noi stessi che è meraviglioso che lei sia così felice e in pace con se stessa. Possiamo soltanto cercare sollievo nella nostra fede che tutto accade per una ragione ben precisa – anche se fino a questo momento non troviamo alcuna traccia di questa ragione.
Di notte ci giriamo e ci rigiriamo nel letto. La nostra fede non si dimostra abbastanza forte da sostenerci e quindi decidiamo di riprendere i discorsi sul matrimonio formale. “Che ne pensi dell’impegno?” Abbiamo chiesto a nostra figlia bombardandola di domande. “Perché hai paura di legalizzare il tuo impegno coniugale? Che cosa accadrebbe se decidesse di lasciarti?” “L’impegno coniugale rappresenta il più profondo accordo spirituale fra due persone. Senza quell’impegno”, dico a mia figlia, “lasci sempre aperta la possibilità di cessare la relazione, ed una piena unione non potrà mai essere raggiunta. Il matrimonio è la creazione di una nuova realtà spirituale, nel prendere due metà e farle diventare una sola unità.”
“Tutto quello che dici è frutto delle convenzioni che pone la società su come dovrebbero vivere le persone,” argomenta lei. “Sono tutte parole, non significa che questo sia il giusto modo di vivere. Soltanto perché va bene a voi, non significa che per forza di cose debba andare bene anche a noi. Il nostro impegno l’uno per l’altro è molto più forte di qualsiasi anello e di qualsiasi benedizione rabbinica.”
Il suo compagno concorda. “Guarda quanto male hanno provocato le religioni nel mondo”, afferma lui. “Forse un tempo queste convenzioni sociali potevano essere necessarie, ma certamente oggi non hanno più ragione di essere.”
Continuiamo a discutere pensando al nipote che non è ancora nato. “Avrà bisogno di sapere chi è, da dove viene, qual è il nome della sua famiglia?”
“Che cosa c’è in un nome?” ribattono.
“Come puoi rinnegare la tua eredità, la storia della tua famiglia, la tua gente?”
“Conoscerà chi sono i suoi genitori, e da dove viene”, replicano loro. “Il mondo è cambiato. L’umanità è una in tutto l’universo”.
Ma il nostro mondo non è cambiato. Mettiamo in gioco l’amore per la vecchia nonna di nostra figlia, la sua ultima nonna superstite. ” La nonna non è più assolutamente in grado di capire. Tutto ciò è completamente fuori dai suoi schemi. Come si può farle affrontare una simile problematica alla sua età?”
“Lei capisce molto più di quanto tu possa credere”, insiste mia figlia.
So che la nonna non mostrerà ciò che prova interiormente nel suo cuore, ma lo vivrà nel suo intimo, frà sé e sé. Soffrirà in silenzio, anche quando gioirà per il suo nuovo nipotino.
Mia figlia manda un messaggio attraverso le sue sorelle, dicendo che gli ultrasuoni mostrano che lei sta aspettando un maschio.
Comincio a immaginare come organizzare il Bris [circoncisione]. Mi interrogo sulla stranezza di fare un Bris con genitori che non sono sposati. Sto semplicemente giocando al gioco di “cosa succederà se”? C’è una parte di me che sa già che non ci sarà un Bris…?

Il patto con Abraamo

Il bambino è nato, una bionda, dolce e preziosa creaturina. Diventa subito chiaro che i nuovi genitori sono irremovibilmente contrari al Bris.
Questa è la nostra finale devastazione. E’ impensabile, da parte di entrambe le nostre famiglie allargate, che un bambino non abbia il Bris. Rompono una tradizione millenaria, un segno essenziale di ebraicità per un bambino. Come è possibile che tutto questo ci accada?
Discutiamo, cerchiamo di convincere con le buone, supplichiamo, imploriamo. Gli Ebrei sono una stirpe preziosa. Quando un bambino ebreo affronta la vita senza il Bris, di fatto esce dal patto di Dio con il popolo ebraico. Il Bris è talmente importante che per il suo solo merito uno può essere salvato – anche quando nient’altro rimane.
Ma poiché tutto questo trova orecchie sorde, tentiamo un approccio più razionale. “Se la nostra tradizione per voi non significa niente, che ne pensate della salute? Che ne pensate di tutti gli studi di medicina che mostrano una riduzione delle infezioni e del cancro fra i maschi circoncisi?”
Ci sentiamo ridicoli ad usare un simile argomento. Per noi tutto questo è molto meno importante del bisogno di avere un bambino che appartenga al patto del popolo ebraico.
“Per ogni documento di ricerca che dimostra i benefici della circoncisione, ce n’è uno che ne mostra i rischi”, rispondono loro. “Ma questo non è il punto. Lui è nostro figlio e questa è la nostra decisione”.
Stiamo sbattendo contro un muro. Non capiamo nulla del loro modo di ragionare. Loro non capiscono nulla del nostro. Quando ci alziamo per andare via, l’atmosfera è cordiale ma fredda. Mia figlia ci corre dietro fino alla macchina. Ci dice piangendo che è consapevole di ferirci, ma loro sono fermi sulla loro decisione.

Ci sentiamo falliti.

Mio marito è fuori di sé dal dolore. I dolori di un fisico vecchio si manifestano con l’angoscia di uno sconvolgimento emotivo. Il suo volto è bianco, fa fatica a respirare. Sono terrorrizzata al pensiero che gli possa venire un attacco cardiaco, ma non so come calmarlo. La mia testa è come se fosse presa in una morsa di ferro e i miei occhi bruciano per il dolore di lacrime che non scendono. Vorrei poter piangere, ma mi mancano i sentimenti. E’ questo il mio innato meccanismo di difesa contro l’attacco cardiaco?
Siamo anche alquanto imbarazzati nel dover dare la notizia del nuovo arrivo in famiglia ai nostri soliti parenti. Non vogliamo influenzare i nostri fratelli e le nostre sorelle con il nostro dolore, coinvolgerli nel cerchio delle nostre sconfitte. Siamo imbarazzati, non abbiamo mai dovuto affrontare qualcosa di simile prima d’ora. Vorremmo mantenere questo segreto, anche se sappiamo che sarà impossibile farlo. Non passerà molto tempo che i nostri parenti chiederanno notizie di nostra figlia; e noi dovremo dare loro una risposta.
Ci sentiamo falliti. Come genitori eravamo orgogliosi di noi stessi per aver insegnato ai nostri figli l’indipendenza di pensiero, uno spirito di libertà e la curiosità di porre certe domande. Non pensavamo che tutto questo si sarebbe ritorto contro di noi, che lei si sarebbe allontanata dai nostri principi di base e avrebbe abbracciato un mondo del tutto diverso, rigettando il nostro.
Torniamo a casa in macchina a tarda notte. “Mi sento come se mi avessero pestato”, dice mio marito rompendo il silenzio. “Anch’io”. Siamo tutti e due depressi. I muscoli del mio viso sono pesanti, come se non dovessi mai più ridere. Vedo le labbra di mio marito serrate, un chiaro segno che è arrabbiato. Abbiamo ingaggiato una battaglia con la nostra cara bambina, e siamo esausti.
Attrice e commediante nata, riusciva sempre a far ridere a crepapelle tutta la famiglia quando “faceva il suo numero”, di solito il venerdì sera dopo cena. Aveva anche un talento artistico, non comprava mai cartoline d’auguri, ma se le costruiva da sola, e io le ho gelosamente custodite in un cassetto per oltre vent’anni. Era la bambina che sorrideva sempre quando andavo a darle da mangiare o a consolarla durante la notte. Consideravo la nostra una relazione “speciale”. Non era quella della più vecchia e nemmeno quella della più giovane. Era semplicemente un naturale, profondo legame fra di noi.
Sono passati due mesi. Il bambino acquista peso ed è adorabile. Lo prendo in braccio e lui sistema la sua testina sulle mie spalle. Accarezzo i suoi capelli di seta e respiro il suo odore fresco di bambino.
Ma nello stesso tempo temiamo, nel nostro cuore, che un’invisible barriera, un muro di dolore ci impedisca di accettare veramente nostro nipote, che senza esserne il diretto responsabile è destinato ad essere diverso dal resto della sua famiglia e distante dal suo popolo. La vita andrà avanti, e noi saremo costretti ad adattarci a questo nuovo e sconfortevole status quo. Siamo tristi per quello che è successo alla nostra famiglia e al nostro popolo, e profondamente amareggiati perché il nostro rapporto con la nostra cara bambina è irrevocabilmente cambiato.

La scrittrice preferisce rimanere anonima ed usare uno pseudonimo.

(Aish.com – trad. www.ilvangelo.org)

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