Editorialista svizzero contro il terrorismo

By 9 Febbraio 2004Israele

Il terrorismo si avvicina.

di Frank A. Meyer

Per i nostri nonni, la Turchia era «da qualche parte laggiù». Ma «laggiù in Turchia», dove fu commesso il genocidio degli armeni, è un’espressione che non va più bene. Istanbul è qui vicino, lontana solo due ore e mezzo di volo. Anche i terroristi impiegherebbero tanto per arrivare in Svizzera. Impiegherebbero? Speriamo di non dover presto usare questo verbo al passato!
Forse la vicinanza dell’orrore ha un effetto salutare, per esempio per quanto riguarda il nostro atteggiamento nei confronti di Israele: il terrorismo, che colpisce giornalmente la piccola e unica democrazia in territorio arabo, per noi in tanti ambienti viene visto come una comprensibile reazione agli interventi militari dell’armata israeliana nei territori palestinesi: se Israele la smettesse, anche il terrorismo avrebbe presto fine, secondo l’opinione comune.
Questa argomentazione che spesso viene menzionata durante un pranzo o una cena al ristorante è il capovolgimento dei fatti reali: da decenni i palestinesi vengono tenuti consapevolmente nella miseria e nella povertà dai loro fratelli arabi. Lo scopo è quello di suscitare odio contro Israele da parte di sempre nuovi giovani che non vedono alcun futuro per la loro vita. Già i bambini del popolo palestinese vengono addestrati come cani da combattimento.
Nel contempo, i potentati arabi del petrolio nuotano nella ricchezza e nel lusso. Il miglioramento della sorte sociale dei palestinesi sarebbe per loro uno scherzo, ma preferiscono finanziare piuttosto le organizzazioni terroristiche, con milioni di dollari, perché queste hanno scritto sulla loro bandiera il proposito di annientare Israele. E per questo può avere conseguenze mortali sedere in un ristorante di Haifa o salire su un autobus di Tel Aviv. Per i bambini già il bus della scuola rappresenta un rischio.
Che succederebbe in Svizzera, se una linea di autobus, o una visita al ristorante o un qualsiasi evento della nostra vita privata quotidiana fosse minacciato da attentatori suicidi? Cercheremmo delle buone ragioni per scusare il fatto? Staremmo a riflettere per un minuto se non sia stata forse la nostra irritante ricchezza di svizzeri ad essere la reale causa scatenante e la colpa dell’esistenza del terrorismo?
Non faremmo niente del genere, e avremmo ragione ad agire così. Cercheremmo di proteggerci a ogni costo e avremmo ragione. Alla fine, se non riuscissimo a dare uno stop al terrorismo, costruiremmo un muro. E avremmo ragione a farlo.
Così saremmo. Così siamo. Ma viviamo ancora con la sensazione che il terrorismo islamico sia lontanissimo, non sia affatto destinato a noi, visto che ci comportiamo in modo tanto neutrale nei confronti del conflitto del mondo arabo contro Israele; noi, che con le nostre banche siamo tanto efficienti nel collaborare a moltiplicare la ricchezza perversa dei potentati arabi.
Ma questo è il grande inganno: il terrorismo islamico, per quanto assurdo ci possa suonare, mira all’islamizzazione del mondo, tramite la destabilizzazione del mondo democratico. Il terreno culturale e religioso su cui cresce questa follia è la dottrina dell’Islam. L’estremismo islamico, con il suo terrorismo, è il frutto marcio di questo enorme albero.
Per l’Islam arabo Israele è insopportabile: uno Stato democratico, uno Stato di diritto, uno Stato con una società aperta nel mezzo di un Medioevo religioso! Questo Stato deve scomparire!
Esso tuttavia non si lascia distruggere dalle bombe né dagli attacchi militari. Israele è armato, è deciso a tutto. Perciò il terrorismo, dappertutto nel mondo, è sempre in collegamento con lo scopo di annientare Israele, deve distruggere le nostre democrazie: il triste destino dei palestinesi serve a trascinarci nell’odio contro Israele. Le immagini dei bambini palestinesi che lanciano pietre contro i carri armati israeliani, devono convincerci che Israele sia il brutale Golia e i palestinesi invece il tormentato Davide. Il mondo libero, un giorno, al più presto possibile, deve relativizzare il diritto di Israele all’esistenza e infine mettere in questione il senso di questo Stato. Per potere avere finalmente pace dal terrorismo islamico. Questa è la strategia che vuole conquistare le nostre menti.
Pubblicisti e politici, cittadine e cittadini che farebbero volentieri un processo morale a Israele, dovrebbero andare più spesso in un ristorante a Haifa o salire più spesso su un bus a Tel Aviv. Potrebbero anche prenotare un viaggio più lungo a Istanbul, per passeggiare a volontà in quella meravigliosa città. La sensazione di timore potrebbe forse risvegliare in loro il senso della realtà.
Israele è forse un tabù? La politica israeliana non è tabù neanche in Israele. Ci sono schieramenti contro e a favore di Sharon. La democrazia funziona. Con una situazione difficilissima, con la minaccia quotidiana del terrorismo, degli attentati suicidi a cui segue solo la disperazione, ma senza nessuna protezione efficace. Questa protezione è impossibile se non, forse, con la costruzione di un muro. Esso sarebbe il monumento della disperazione.
Come deve difendersi la Turchia? Come si dovrà difendere fra un po’ la Germania, o la Francia, o l’Italia? 0 noi?

(“SonntagsBlick”, 23 novembre 2003 – da “Chiamata di Mezzanotte”)

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