Contrapporre l’ebraismo al cristianesimo non ha senso. E non solo per il rispetto dovuto dal cristianesimo all’ebraismo o per le radici comuni: le due realtà sono molto più vicine di quanto si sia voluto far credere in venti secoli di storia, contrapponendo l’Antico al Nuovo Patto, il rifiuto e il riconoscimento del Messia, un “prima” e un “dopo” che in realtà hanno molti più elementi in comune di quanti ne testimonino le “versioni semplificate” che si sono fatte strada nei secoli.
Lo rileva, in un libro colto ma di gradevole lettura, Daniel Boyarin, professore di cultura talmudica e di retorica all’Università della California, riconosciuto come uno tra i maggiori conoscitori viventi del Talmud.
La provocazione del titolo non è gratuita: “Il vangelo ebraico” rappresenta la denuncia di un’appropriazione indebita, o di una proprietà non reclamata. Tutto ruota, naturalmente, attorno alla figura di Gesù, momento di connessione e di apparente rottura tra i due percorsi. Un Gesù che non condanna la Torah, ma piuttosto «ogni forma di sfruttamento santimoniale, ipocrita e pieno di sé» della Legge, come spiega Jack Miles nell’introduzione.
Le cose non sono semplici come si vorrebbe far credere, rimarca Boyarin fin dalle prime pagine del suo saggio: a partire dal concetto di “religione”, estraneo secondo l’autore agli ebrei del tempo, che avevano una prospettiva globale che intrecciava vita quotidiana, devozione, valori e appartenenza etnica – una categoria che ancora oggi risulta «piuttosto mista, che non si lascia mappare secondo criteri solo etnici o religiosi» – e per giunta attraversata, dopo la diaspora, da linee di pensiero e di devozione differenti tra loro, tanto che esistevano «idee molto diverse su cosa significasse essere un bravo ebreo osservante». Un quadro molto più fluido di quanto si possa immaginare, dove «c’erano molti ebrei che credevano in qualcosa che si avvicinava molto al Padre e al Figlio e anche in qualcosa di non molto dissimile dall’incarnazione del Figlio nel Messia». E i primi cristiani mangiavano kosher mentre credevano in un Gesù Messia.
Furono i concili a individuare elementi distintivi, capaci di creare un’identificazione cristiana, rendendo le due opzioni “mutualmente esclusive”, con l’effetto collaterale di “creare zizzania tra le credenze ebraiche tradizionali e l’ortodossia cristiana di nuovo conio”, generando inoltre un sentimento antigiudaico” che ancora oggi si fa fatica a superare.
Fino a quel momento, ribadisce spesso Boyarin, «parlare dei confini tra ebraismo e cristianesimo è molto più complicato (e interessante) di quanto potessimo pensare». E, partendo dagli assunti principali che oggi definiscono le rispettive identità, propone un viaggio alla riscoperta delle “numerose opzioni depennate” di volta in volta dai custodi dell’ortodossia cristiana e dalle autorità rabbiniche.
“Il vangelo ebraico” è un libro per andare oltre i luoghi comuni sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo. Un testo a tratti provocatorio, profondo, colto e capace – al di là dei distinguo, inevitabili su entrambi i fronti – di far riflettere su un rapporto inquadrato da duemila anni in maniera impropria. Ma anche sulla necessità, evidentemente innata, di stabilire confini perfino nel proprio credo, e sulla facilità con cui il credente, convinto delle sue posizioni, di disprezzare o screditare, se non addirittura di emarginare, qualunque convinzione non perfettamente allineata alla sua.
Il vangelo ebraico. Le vere origini del cristianesimo
Autore: Daniel Boyarin
Anno: 2013
Pagine: 187
Prezzo: € 16,5