Il mercato dell’informazione. Notizie vere, false e sensazionali nella Venezia del Cinquecento

By 5 Agosto 2023Agosto 29th, 2023Spazio libri

La società umana ha sempre avuto fame di notizie. Guerre imminenti, gesta eroiche, fatti di sangue o storie d’amore, i fatti che ci circondano hanno attirato la nostra attenzione fin dagli albori della civiltà. Naturalmente le forme di comunicazione sono cambiate nel tempo. I primi giornali, così come li conosciamo oggi, nacquero attorno al XVIII secolo: fogli stampati in molteplici copie, acquistabili a un prezzo ragionevole, che riferivano le vicende del giorno o del periodo a un pubblico alla ricerca di informazione e che, con la loro influenza, potevano condizionare l’opinione pubblica (tutti concetti che per noi oggi sono ordinari, ma che sarebbero stati teorizzati solo in seguito).

E prima dei giornali? Dopo l’epoca di poemi, menestrelli e pettegolezzi – chi si assumeva l’onere e l’onore di raggiungere il pubblico con la consapevolezza di trasmettere informazioni e, magari, di farlo con uno scopo preciso? A provare a dare una risposta sono due ricercatori trentini, Massimo Rospocher e Rosa Salzberg, in un volumetto ricco di informazioni pubblicato di recente da Marsilio (Il mercato dell’informazione. Notizie vere, false e sensazionali nella Venezia del Cinquecento. Marsilio, 2022. 119 pp, 12 euro).

Le origini del mercato della notizia ci riportano ai primi anni dell’età moderna, in quella Venezia dove, già ai primi del Cinquecento, cominciano a diffondersi «narrazioni in versi e in prosa che confondono frequentemente il vero e il falso, la realtà e la finzione, spesso partigiane, talvolta esagerate e non sempre attendibili». Una “emergente cultura delle notizie” che, per quanto agli esordi, è sintomatico snodo tra due epoche, e in cui ancora “convivevano strumenti comunicativi vecchi e nuovi”: da un lato i racconti multimediali dei saltimbanchi con i loro spettacoli di piazza arricchiti da rappresentazioni visive, dall’altro le cronache a stampa.

Venezia, in questo senso, non gode solo dell’industria tipografica più fiorente d’Europa, ma anche di un accesso privilegiato alle fonti, grazie a una intensa attività diplomatica e al suo ruolo centrale sullo scenario politico commerciale del Mediterraneo: la Serenissima era un vero “crocevia di notizie” in cui convergevano resoconti diplomatici, diari di mercanti, corrispondenze di funzionari, in un andirivieni di informazioni da ogni parte del mondo conosciuto. Il terreno ideale per il proliferare di “opuscoli, libretti e fogli volanti, venduti nelle piazze e nei mercati” a prezzi modici, che intercettano l’interesse di diverse fasce sociali.

Si tratta di testi effimeri – così li definiscono i due studiosi trentini – le cui potenzialità destano ben presto anche l’interesse delle realtà religiose: se papa Giulio II userà la minaccia della diffusione a stampa dell’interdetto lanciato nel 1509 contro Venezia (inaugurando “un uso consapevole e massiccio della stampa come strumento propagandistico”), la Riforma si avvarrà in maniera ancor più significativa degli sviluppi tecnologici, tanto che Lutero definirà la stampa come “un dono di Dio”.

Le pubblicazioni non hanno ancora una periodicità, naturalmente, ma escono con una tempestività sorprendente, tanto più considerando i limiti tecnici dell’epoca. Di norma questi fogli raccontano le notizie, a volte in forma di cronaca, altre con un approccio epico scandito in metrica; oggetto delle produzioni sono i fatti che destano maggiore impressione, dalle guerre alle catastrofi, passando per epidemie, crimini e prodigi di varia natura.

Dalla disamina degli autori emerge una spiccata tendenza al sensazionalismo e una agguerrita concorrenza che porta le forze in campo ad accreditarsi sottolineando la qualità delle proprie fonti e, nel contempo, a screditare la concorrenza mettendo in guardia dalle “false storie” di produzioni meno accurate; si coglie inoltre come le tecniche della comunicazione, nel Cinquecento, pur non avvalendosi dei quotidiani e tantomeno del web, fossero già vivaci e l’inventiva portasse a trovate che anticipavano i tempi – come la diffusione di propaganda aerea attraverso palloni gonfiati o con il lancio di dardi -, dando vita a vere “guerre d’inchiostro” che avevano poco da invidiare alle battaglie mediatiche odierne.

A conquistare l’attenzione del lettore del Cinquecento, tuttavia, non sono solo le guerre. Il veneziano compulsa le cronache esotiche raccontate nei diari di viaggio, come pure i resoconti di calamità e disgrazie. E qui, talvolta, si mescolano fatti e toni profetici: del resto la frattura provocata dalla Riforma aveva impressionato l’Europa intera, e dietro ai disastri si intravedevano potenziali maledizioni divine lanciate contro chi aveva attentato all’universalità della chiesa.

Se il racconto delle disgrazie indulge a drammatizzazioni funzionali a una narrazione più efficace, i fatti di cronaca nera – genere di grande successo per tutto il Cinquecento – vengono riportati privilegiando le emozioni e con un occhio di riguardo alle lezioni morali. Non mancano, anche in questo ambito, notizie distorte, amplificate o inventate di sana pianta: proprio per arginare le fake news ante litteram le autorità giungeranno a imporre un’autorizzazione alla diffusione delle opere stampate nel territorio veneziano. Una censura che si farà sempre più rigida e, a metà del secolo, rivolgerà la propria attenzione principalmente alla diffusione delle idee riformate.

Il libro:
Massimo Rospocher e R. Salzberg
Il mercato dell’informazione. Notizie vere, false e sensazionali nella Venezia del Cinquecento.
Marsilio, 2022
119 pp, 12 euro

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