La crisi del volontariato

By 21 Giugno 2010Editoriali

L’altruismo sta morendo. A segnalarlo è Riccardo Bonacina, direttore editoriale di Vita Magazine, che in un intervento sul Corriere della Sera lamenta un dato preoccupante: negli ultimi tre anni il numero di coloro che si dedicano al volontariato è diminuito del 10%.

Un crollo che si spiega con l’assenza di una politica adeguata da parte delle autorità preposte, una linea capace di valorizzare l’impegno di chi dedica il suo tempo ai bisognosi, incoraggiando altri a seguirne l’esempio. Ma non solo.

Il volontariato, in ogni sua forma, sta perdendo le sue forze. E non è un problema di poco conto: è proprio grazie al non profit che la società riesce a reggere il peso di una richiesta di aiuto sempre più massiccia in un periodo dove la crisi economica costringe a tagliare perfino sui servizi essenziali.

Bonacina sottolinea che a dare forfait sono soprattutto i più giovani. E il dato turba.

Innanzitutto per una questione molto pratica: i giovani, specie quando non hanno ancora responsabilità familiari stringenti, hanno più tempo. Sarebbe cinico speculare sul tempo libero legato all’assenza di lavoro, ma non si può non rilevare che, anche al netto delle ore lavorate o della ricerca di un’occupazione, a pochi giovani viene in mente di utilizzare il proprio tempo al servizio degli altri, se non vengono incoraggiati a farlo.

Non vogliamo credere che sia a causa di una prospettiva mentale mirata a monetizzare ogni cosa (per poi, fatalmente, non guadagnare su niente): la speranza è che sia, banalmente, l’assenza di un buon esempio.
Già, l’esempio. Incoraggiamo i nostri giovani a studiare, a cercare lavoro, a farsi una posizione, a costruirsi una carriera (anche chiudendo un occhio su manovre spericolate dal punto di vista etico), a mettere su famiglia.
Raramente li incoraggiamo a fermarsi per scoprire il senso della vita, o – appunto – a dedicare una parte del proprio tempo agli altri. Non occorre andare troppo lontano per vedere i risultati di questa strategia malata: giovani senza troppi scrupoli morali a scuola o sul posto di lavoro, e senza grosse remore a perdere il proprio tempo libero bighellonando, e magari giustificando le azioni peggiori con il classico “mi annoiavo”, diventato passpartout e attenuante generica del XXI secolo.

Forse non hanno un buon esempio in famiglia. Forse hanno sempre visto un padre che ha passato in poltrona tutto il suo tempo libero, o una madre troppo dedita ai più beceri programmi pomeridiani di intrattenimento per rendersi conto dei bisogni dei vicini.

Facile dare la colpa alla società, che peraltro fa poco per invertire la tendenza. La società, nel bene e nel male, siamo noi. Non solo: come cristiani dovremmo impegnarci a indicare con l’esempio una direzione plausibile alla società; dovremmo sentirlo come un dovere morale tanto più mentre constatatiamo, giorno dopo giorno, di vivere in un contesto senza valori e quindi inevitabilmente confuso.

E invece, spesso, siamo noi a dover essere incoraggiati, o a guardare dall’altra parte. Siamo noi che guardiamo come fossero bestie rare coloro che passano le notti sulle ambulanze, o i pomeriggi liberi a servire presso le mense dei poveri. Siamo noi che, di fronte a ogni proposta diversa dal divertimento spicciolo e facile, poniamo il veto del “sì, ma cosa ci guadagno?”.

Non possiamo non concordare con Bonacina quando denuncia che “L’educazione alla gratuità e all’impegno sono desolatamente assenti da ogni dibattito”.

Peggio: mentre un Occidente squassato dalla crisi economica ha riscoperto il valore di ciò che non si può comprare, noi cristiani sembriamo aver dimenticato di aver ricevuto tutto gratuitamente.

Invece di dare l’esempio, siamo rimasti indietro. Forse è il caso di cominciare a recuperare il tempo perduto.

biblicamente – uno sguardo cristiano sull’attualità

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