
Una cerimonia solenne, eco di riti millenari ma con ampie concessioni alla contemporaneità: l’incoronazione di re Carlo è stata questo, ma non solo. Nelle scorse settimane vi abbiamo anticipato ciò che si sarebbe visto nell’abbazia di Westminster e sui significati dei simboli e dei momenti che avrebbero caratterizzato la funzione, tuttavia la cerimonia del 6 maggio ha proposto ulteriori spunti, a partire dalle prime parole di Carlo una volta entrato in chiesa: «Come figli del regno di Dio vi diamo il benvenuto nel nome del Re dei re», lo ha salutato un giovane membro del coro abbaziale; «Nel suo nome e con il suo esempio non vengo per essere servito ma per servire», ha risposto il re.
E il servizio è stato il filo rosso della cerimonia, che ha incrociato la lettura di Colossesi e il successivo sermone, breve ma intenso, dell’arcivescovo Justin Welby: «Siamo qui per incoronare un re e incoroniamo un re per servire», ha esordito. Un re che deve governare sull’esempio di Gesù, che “non si aggrappa al potere o alla propria condizione di privilegio”. «Il Re dei re, Gesù Cristo, fu unto non per essere servito, ma per servire», ha ricordato Welby. «Crea il principio immutabile che con il privilegio del potere viene il dovere del servizio», un servizio che è “amore in azione” e va manifestato nella cura verso i più deboli, i giovani, la natura, aspetti che peraltro, ha chiosato, abbiamo già visto tra le “priorità nella vita di servizio vissuta dal nostro re”.
«Il peso del compito affidatovi oggi, Maestà», ha ammonito ancora Welby, «è sopportabile solo grazie allo Spirito di Dio, che ci dà la forza per donare la nostra vita agli altri». È lo Spirito Santo che “ci attira all’amore in azione”, ha aggiunto.
Ma il servizio, ha ricordato il predicatore, non è una questione che riguarda solo il sovrano: «Ognuno di noi è chiamato da Dio a servire. Qualunque sia l’aspetto della nostra vita, ognuno di noi può scegliere la via di Dio oggi. Possiamo dire al Re dei re, Dio stesso, come fa il re qui oggi, “fammi grazia affinché al tuo servizio io possa trovare la perfetta libertà”. In quella preghiera c’è una promessa oltre ogni misura… con quella preghiera ci apriamo all’amore trasformante di Dio».
Il sermone è venuto dopo le promesse, espresse con le mani posate sulla Bibbia, e ha preceduto il momento clou della cerimonia, la vera e propria incoronazione solenne, le cui immagini rimarranno nella storia. L’unzione del sovrano con l’olio santo è stata invece celata agli occhi del mondo, ma anche degli astanti, da un paravento: il sovrano è rimasto da solo, in ginocchio di fronte a quattro celebranti, spogliato delle vesti regali, a ricevere l’unzione e la successiva preghiera di benedizione.
Alla cerimonia non è mancato nemmeno un corposo repertorio musicale: per la prima volta, oltre a coro, orchestra e solisti, è stata invitata una formazione gospel, genere che pare appassioni il re. Tra i brani, cantato in coro da tutti i presenti, anche “Praise, my soul, the King of Heaven” (in italiano “Lode e gloria al Re dei cieli”).
Un’ultima nota, inevitabilmente, va dedicata ai commenti televisivi: se la BBC rimane inarrivabile (per quanto, nelle riprese, abbia mostrato qualche impensabile sbavatura), in Italia abbiamo sperimentato il commento logorroico di RaiUno (criticato, nei giorni successivi, anche da Aldo Grasso sul Corriere), mentre è risultata rispettosa della cerimonia – perfino dei suoi silenzi – la diretta di una rete di nicchia come RealTime.
Se volete rivedere la funzione, il video integrale è qui.
foto da youtube.com